venerdì 7 ottobre 2011

GLI INTRUSI DI VILLA LUBIN Il Velino 7 ottobre

Roma - In questa rubrica che curo da alcuni anni mi si permetta di trattare di un tema in cui sono coinvolto personalmente. Non per prendere una posizione personalistica. Ma per porre un problema a carattere generale. Sono o non sono “intrusi” a Villa Lubin, sede del Cnel, dove servo la Repubblica da circa un anno come Consigliere esperto su nomina del Capo dello Stato, i dieci rappresentanti delle “agenzie di promozione sociale”, più comunemente chiamato “terzo settore” o simile. Da metà agosto infuria una battaglia che è un vero pasticciaccio brutto di cui la vittima principale rischia di essere il “terzo settore” (volontariato, imprese sociali e simili).

In breve, il decreto legge del 13 agosto prevedeva una riduzione dei consiglieri del Cnel da 121 a 71, una modifica del metodo di votazione in Assemblea e dell’organizzazione in Commissioni, mantenendo salvi i 12 esperti nominati dal Capo dello Stato e dal Presidente del Consiglio e i 10 esponenti del “terzo settore”. L’ingresso di questi ultimi nell’organo è stato tardivo e a opera di un ministro del Lavoro cattolico e specialmente interessato al settore (con la legge del 7 dicembre 2000) e le loro indennità sono a carico non del Cnel ma del Ministero del Lavoro. Una posizione un po’ da “soci aggregati”. Non amo ascoltare le voci, dato che, sposato da 43 anni ad una Borgognona, mi è ben nota la fine che fece Giovanna D’Arco. Chi era allora nell’organo afferma che l’ingresso avvenne in seguito ad un’intesa secondo cui detto terzo settore avrebbe convogliato i voti verso il centro sinistra alle elezioni del 2001. Cosa che poi pare non avvenne. Nel 2000 comunque numerosi Consiglieri del Cnel proposero di fare un ricorso sino alla Corte Costituzionale poiché in base all’art. 99 della Costituzione l’organo di rilevanza costituzionale è composto per legge “da esperti e da rappresentanti delle categorie produttive in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa”. Inoltre in nessuno dei 70 Consigli Economici e Sociali del resto del mondo, il “terzo settore” è rappresentato. Sin dagli Anni Ottanta, il “terzo settore” preme per essere incluso nella delegazione italiana all’Organizzazione Internazionale del Lavoro con esito negativo poiché è stato fatto notare che sarebbe, su 190 delegazioni, l’unica con una rappresentanza del genere.

Passando da Senato e Camera, il decreto è stato leggermente modificato per tentare di accomodare anche il terzo settore. La bozza di ordinamento ora al Consiglio di Stato mantiene “una riserva indiana” per i dieci. Si è scatenata una vera e propria gazzarra. Da un lato, oltre l’80% dei consiglieri Cnel accusano, a torto o a ragione, i rappresentanti del terzo settore di avere tentato un colpo di mano ferragostano e di avere manipolato i testi usciti dal Senato nel loro percorso verso la Camera: è iniziata, a Villa Lubin, un’attività di ostracismo nei confronti dei consiglieri espressione del terzo settore. Da un altro, avendo subito tagli, il Ministero del Lavoro fa sapere di non avere più intenzione di prendersi carico dei loro costi. Da un altro ancora, gli esperti di nomina del Capo dello Stato e della Presidenza del Consiglio sono appena il 10% dei componenti del Cnel (mentre in organismi analoghi stranieri sono mediamente sul 20% e all’Organizzazione internazionale del lavoro i due terzi); la quota di spettanza del Quirinale e di Palazzo Chigi dovrebbe aumentare perché, a ragione di ristrettezze di bilancio, lavori e ricerche vengono, in questa Consiliatura, fatti da esperti e non da consulenti esterni. Infine, oltre due terzi dei Consiglieri Cnel hanno annunciato ricorsi che potrebbero paralizzare l’organo e arrivare alla Consulta. Contatti con giudici della Alta Corte indicano problemi sia formali, sia sostanziali. Sotto il profilo formale, dato che la Costituzione affida alla legge l’organizzazione del Cnel, essa non può essere demandata a un decreto del Presidente del Consiglio. Sotto il profilo sostanziale, nonostante tramite oltre 100 organizzazioni il terzo settore rappresenti circa 2 milioni di uomini e donne, l’art. 99 della Costituzione non ne prevede la sua partecipazione al Cnel - proprio per questo la legge del 7 dicembre 2000 pone i suoi rappresentanti a carico del ministero del Lavoro.

Il problema non è di seggi e poltrone. Ormai il terzo settore (nei cui confronti non nascondo di nutrire simpatie) viene marginalizzato: nelle votazioni dell’ultima assemblea i quattro presenti del gruppo (gli altri sei non sono venuti) si sono trovati in una posizione a dir poco imbarazzante: se gli altri 80 partecipanti votavano “sì”, loro votavano “no”. Si rischia la paralisi dell’organo proprio in una fase in cui più si sente la sua esigenza (come indicato dalle stesse autorità europee). Sono trattati, in effetti, come intrusi a Villa Lubin.

A mio avviso, quando è stato scritto l’art. 99 della Costituzione il settore non aveva il rilievo che ha adesso. Ora il terzo settore e chi lo sostiene dovrebbe promuovere una norma costituzionale che azzeri il pasticciaccio brutto e contemporaneamente promuova una revisione dell’art. 99 della Costituzione. Ed attendere pazientemente di entrare dalla porta principale.(Giuseppe Pennisi) 06 Ottobre 2011 20:07

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