lunedì 10 ottobre 2011

Da Usa e Francia i primi passi per il decreto sviluppo Il Sussidiario 10 ottobre

Da Usa e Francia i primi passi per il decreto sviluppo
Giuseppe Pennisi
lunedì 10 ottobre 2011
Giulio Tremonti (Foto Imagoeconomica)
Approfondisci
TRENI/ L’esperto: altro che Parigi-Venezia, vi spiego le vere sfide di Trenitalia, int. ad A. Bicotti
FINANZA/ L’esperto: vi spiego perché l’Europa è costretta a salvare le banche, int. ad A. Quaglio
Per il programma di crescita, la settimana si è chiusa con un bicchiere che vogliamo considerare “mezzo pieno”. L’approvazione del programma - è vero - è stata rinviata al 20 ottobre; dopo i declassamenti subiti, da parte delle agenzie di “rating”, dai nostri titoli pubblici (declassamenti dovuti alle incertezze sui punti centrali della nostra politica economica), ciò non promette nulla di buono. Il Consiglio dei ministri del 6 ottobre, però, ha approvato (senza quasi che se ne accorgesse nessuno) due schemi di decreti che riguardano: 1) la valutazione degli investimenti relativi a opere pubbliche, che prevede fra l’altro l’obbligo per ogni Ministero di redigere il Documento pluriennale di pianificazione che includa i programmi di investimento per opere pubbliche; 2) le procedure di monitoraggio sullo stato di attuazione di tali opere: un sistema gestionale automatizzato che contenga le informazioni qualificanti dei lavori e degli interventi programmati, con la verifica dell’utilizzo dei finanziamenti nei tempi previsti. Sui due schemi verranno acquisiti i pareri delle Commissioni parlamentari e, limitatamente al secondo, anche della Conferenza unificata. È dato per scontato che i pareri saranno positivi e che i provvedimenti saranno in vigore entro tempi brevi.
Non si tratta certo di misure risolutive in un Paese in cui le sole inefficienze della logistica comportano un costo di 40 miliardi di euro l’anno. Rappresentano, però, passi nella direzione giusta, che consentono, quanto meno, di appurare quali e quante sono le risorse disponibili (spesso “nascoste” in “contabilità speciali” e gestioni fuori bilancio di vario ordine e grado - il solo ministero dei Beni e delle attività culturali, Mibac, ne ha ben 324) e quali sono le priorità dal punto di vista degli enti di spesa (i Ministeri).
Dei due punti indicati il più importante è il secondo: traducendo dal burocratese, la misura vuol dire che verrà effettuato un censimento e che le opere non iniziate verranno de-finanziate (impiegando gli stanziamenti per opere che possono essere immediatamente cantierabili). Attenzione, i singoli Ministeri avrebbero potuto e anzi dovuto adottare queste misure da sempre (e i dirigenti responsabili sono passibili di danno erariale, ove la Corte dei Conti apra un fascicolo). È “straordinario”, nel senso etimologico del termine, che si sia dovuto intervenire con un decreto legislativo. Tuttavia, in una situazione in cui dal 2001 a oggi, a titolo di quella Legge obiettivo che avrebbe dovuto semplificare e velocizzare, sono stati erogati appena 2,5 miliardi rispetto a un costo complessivo di opere stimato in 8,8 miliardi, è una misura che induce a sperare in maggiore tempestività anche perché il de-finanziamento è una sanzione - e a fronte di de-finanziamenti la Corte dei Conti potrebbe svegliarsi dal suo torpore e iniziare procedimenti che toccano nei portafogli dei singoli responsabili dei procedimenti.
La prima misura può essere interpretata, e attuata, in due modi molto differenti. Da un canto, con pure procedure di “programmazione formale”, quali quelle attuate per decenni in America Latina e in Africa, per soddisfare Banca mondiale e simili: programmi con elenchi di priorità non supportati da adeguate analisi economiche. Potrebbe anche essere l’occasione per rilanciare la programmazione decentrata per progetti degli anni Ottanta e Novanta e anche per raffinarla integrando le analisi costi benefici dei singoli progetti con stime degli effetti di gruppi di progetti. Tanto più che l’Istat sta di nuovo lavorando (dopo tre lustri!) su una matrice di contabilità sociale (una raffigurazione dell’economia italiana che coniuga i rapporti tra settori con quelli tra istituzioni) e, quindi, si potrebbe contare su stime affidabili. Inoltre, non dovrebbero essere meri elenchi di priorità, ma - come suggeriscono i saggi pubblicati nel volume Trasporti e Infrastrutture (a cura di Francesco Ramella) dall’Istituto Bruno Leoni - occorre introdurre, nei programmi, una buona dose di mercato. Un suggerimento al ministro dell’Economia e delle Finanze: segua l’esempio del “programme de rationalisation des choix budgettaires” applicato per anni in Francia, pubblicando i programmi dei Ministeri e facendoli valutare dalla professione. Ci sono premi e penali implicite (ma efficaci) nell’essere lodati o criticati.
Questi due passi possono essere un’indicazione che si vuole per davvero rilanciare le infrastrutture. Perché, in questo campo, il programma abbia effetti positivi non basta, però, una maggiore attenzione alla progettazione, il de-finanziamento di quella troppo preliminare per essere attuata nei tempi stipulati e una maggiore chiarezza degli enti di spesa sulle loro priorità e sulle pertinenti motivazioni. Se si vuole dare impulso al settore è essenziale rivedere, almeno in prospettiva, il Titolo V della Costituzione (che ha suddiviso responsabilità e competenze creando una vera Babele), attivare nuovi strumenti finanziari del tipo di Project Bonds che abbiamo alcune caratteristiche dei Buy American Bonds (BABs) attivati con successo negli Stati Uniti (dato che il fabbisogno finanziario stimato per i prossimi cinque anni è attorno a 50 miliardi di euro).
Non illudiamoci che tutto ciò possa essere contenuto nell’atteso “Decreto Sviluppo”. Che ci siano, però, almeno i prolegomeni.

________________________________________

Nessun commento: