giovedì 8 settembre 2011

I DANNI COLLATERALI DELLA CRISI Il Velino 8 settembre

il Velino/AGV presenta, in esclusiva per gli abbonati, le notizie via via che vengono inserite.I DANNI COLLATERALI DELLA CRISI
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Stampa l'articolo Roma - Dato che in questi giorni tutti commentano la manovra di finanza pubblica (anche se non è improbabile che la Camera dei Deputati ne cambi più di un aspetto), occorre, da un lato, sottolineare come i travagli dell’Italia e di altri Paesi siano essenzialmente alcune sfaccettature di un nodo più complicato – la crisi dell’unione monetaria europea - e come le difficoltà del presente e del futuro dell’euro abbiamo già provocato diversi danni collaterali. Sui quali pochi stanno riflettendo. Già la primavera scorsa, questa rubrica sottolineò come l’area dell’euro sia molto più vasta dell’eurozona a 17; include micro-Stati che hanno adottato la moneta unica europea per mera convenienza pratica ad unione monetarie (come quelle di numerosi Stati africani) che hanno tassi di cambio fissi con l’euro a Stati associati all’Unione Europea che per comodità hanno optato per un regime di cambi fissi, sono una sessantina gli Stati le cui politiche monetarie si fanno a Francoforte e le cui politiche economiche sono fortemente influenzati da quelle definite per l’eurozona. Anche se solo 17 hanno voce in capitolo. In breve, nell’”eurozona ampliata” a 60, oltre 50 Stati subiscono danni collaterali da quanto sta avvenendo all’unione monetaria.

Pochi però hanno pensato alle implicazioni per le unioni monetarie in fieri – ed in vari stadi di concezione e preparazione - che, visto quanto sta avvenendo nel Vecchio Continente, stanno facendo passi indietro. Il caso più significativo è quello dell’area del Pacifico. Il mondo sarebbe più semplice se tre-quattro grandi aree commerciali e monetarie lavorassero con l’obiettivo comune della crescita e della lotta alla povertà.

L’ultimo fascicolo del Journal of International Commerce contiene un saggio interessante di due professori giapponesi Eiji Ogawa della Università Hitotsubashi e Junko Shimizu della Università Shensu. Il lavoro analizza le proposte per giungere ad una unione monetaria asiatica sin dal 2005 sulla base di un paniere comune basato su monete di Stati dell’Asean e di tre Stati asiatici non appartenenti all’Asean. Erano anche stati messi a punto indicatori di vigilanza - Il saggio dimostra come il risultato sarebbe stata un’ancora forte che avrebbe favorito il commercio nell’area (e nel resto del mondo). Da alcuni mesi, i lavori verso l’unione monetaria asiatica sono stati di fatto arrestati.

Peccato! Perché come scrive l’economista sino-americano Yi-Wen nel Working Paper No. 2011.018A della Federal Reserve Bank di St. Louis un percorso verso un’unione monetaria asiatica, avrebbe messo a buon uso le enormi riserve che giacciono presso l’autorità monetaria cinese. Lo stesso Bin Zhang dell’autorità monetarie di Benjing sostiene in un documento di lavoro di poche settimane fa che sarebbe utile che le banche centrali asiatiche spostino gradualmente verso lo yuan le loro riserve in dollari Usa. Ed uno dei principali gestori di fondi asiatici Surjit Bhalla, appena quattro mesi fa, in un saggio apparso in “Comparative Economic Studies” Vol. 53, No. 3 del 2011 affermava che lo yuan sarebbe stato l’euro dell’Asia.

Tutte prospettive ora diventate molto lontane.(Giuseppe Pennisi) 08 Settembre 2011 12:55

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