lunedì 12 settembre 2011

Così le riforme hanno «salvato» solo i genitori. I limiti dei fondi integrativi in Avvenire 13 febbraio

Così le riforme hanno «salvato» solo i genitori. I limiti dei fondi integrativi


DI GIUSEPPE PENNISI

L a struttura del sistema pensioni¬stico italiano rappresenta una delle principali ragioni di preoc¬cupazione dei giovani di oggi. E non a torto. Col passaggio al sistema di cal¬colo delle 'spettanze' legato ai con¬tributi versati, infatti, le giovani gene¬razioni hanno ben presto imparato che la loro pensione sarà in futuro molto più bassa di quella dei loro ge¬nitori, zii o nonni. Eppure la ragione di questo svantaggio non è da ricer¬care nella natura del 'sistema contri¬butivo' rispetto a quello 'retributivo' quanto al modello italiano. Cerchia¬mo di capire perché. In primo luogo va chiarito che il me¬todo 'contributivo' non assicura af¬fatto che le pensioni future saranno il frutto degli investimenti effettuati con i contributi versati oggi da chi è in età da lavoro. Il sistema previdenziale re¬sta infatti «a ripartizione», ossia i con¬tributi dei lavoratori non sono accan¬tonati a loro beneficio, ma vengono comunque 'ripartiti' per finanziare le prestazioni ai pensionati di oggi.

Le spettanze, dunque – che non sono più calcolate in base alle re¬tribuzioni, come avveniva nel vecchio metodo di calcolo 'retributivo' – vengono assi¬curate sì in base ai contributi, ma in¬tesi come 'figurativi', cioè al mon¬tante 'figurativo' con essi 'figurati¬vamente' accumulato. In termini tec¬nici, il metodo si chiama «Notional Defined Contribution» (Ndc).

L’Italia e la Svezia sono stati i primi Paesi a passare da un sistema pensio¬nistico retributivo a uno contributi¬vo. Ma se in Italia siamo ancora nel mezzo della transizione da un meto¬do all’altro – inizialmente stabilita in 18 anni (dal primo gennaio 1996), ma che sarà di almeno 25 anni se si tiene conto delle pensioni di reversibilità e di altri aspetti –, in Svezia la transi¬zione è stata completata nel 1999, os¬sia in soli tre anni. Questo, non perché gli svedesi siano maratoneti e gli ita¬liani delle lumache, ma per ragioni storiche e di interessi particolaristici e clientelari.

Alla fine degli anni Sessanta l’Italia si era data il sistema previdenziale re¬tributivo tra i più generosi al mondo con 'tassi di sostituzione' (rapporto tra ultimo stipendio e primo assegno previdenziale) prossimi all’80% e con la possibilità di cumulare più pensio¬ni. Nel 1995, per fare un esempio, la metà dei pensionati aveva almeno due pensioni pubbliche, molti ne a¬vevano tre e ne fruivano sin da un’età relativamente giovane. In Svezia, il 'tasso di sostituzione' non superava invece il 60% e le pensioni pubbliche non potevano essere cumula¬te.

Il fardello che grava sulle gio¬vani generazioni (che, lo ri¬cordiamo, pagano le pensioni degli anziani) è diventato par-ticolarmente pesante in Italia, mentre è molto più leggero in Svezia, anche perché qui il cambiamento del metodo di calcolo è stato accompagnato da un aumen¬to dell’età di pensionamento per ri¬durre la platea di pensionati. Nel Bel-paese, invece, alcuni gruppi sociali particolarmente forti e agguerriti han¬no difeso le generose pensioni 'retri¬butive' per la loro generazione a sca¬pito delle altre. Come? Aumentando i contributi sia direttamente sia indi¬rettamente (ad esempio, destinando i vecchi assegni familiari al finanzia¬mento delle pensioni) e poi introdu¬cendo nelle varie riforme parametri per i versamenti dei contributi, per i rendimenti, per l’accumulazione del montante accumulato e per il calco¬lo delle spettanze tali da favorire co¬loro che sarebbero andati a riposo en¬tro il 2013 (e anche più in là se si tie¬ne conto, oltre che delle pensioni di reversibilità, del metodo di calcolo 'misto', in parte 'contributivo' e in parte 'retributivo', per coloro che a¬vevano meno di 18 anni di anzianità al 31 dicembre 1995).

In breve, esigenze effettive e obietti¬vi particolaristici hanno prevalso sui principi di equità inter-generaziona¬le. Sarebbe errato attribuirne la re¬sponsabilità solamente al governo Lamberto Dini o al ministro del La¬voro Tiziano Treu, gli autori delle riforme più significative: verosimil¬mente, non avrebbero ottenuto mol¬to di più dal Parlamento e un even¬tuale ripudio, anche parziale, degli impegni con chi era già in pensione avrebbe scatenato una crisi sociale interna con possibili ripercussioni in¬ternazionali.

Ma torniamo al raffronto tra Svezia e Italia, utile per capire il senso del tra¬dimento generazionale. Se, prima del¬le riforme, nel Paese scandinavo il 'tasso di sostituzione' tra l’ul¬timo stipendio e la pensione era del 60% e in Italia dell’80%, nel nostro Paese la strategia individuata per far quadrare i conti è stata quella di far pa¬gare di più ai giovani lavora¬tori oggi e dare loro di meno domani. Le stime su quale sarà in futuro il 'tasso di sostituzio¬ne' con l’Ndc 'all’italiana', variano di molto anche perché i tempi e i modi di ingresso nel mercato del lavoro e le progressioni di carriera sono mutati drasticamente, ma non sono affatto rosee. Un giovane che incomincia a lavorare come co.co.pro a 25 anni, che ottiene un impiego a tempo indeter¬minato a 30 anni, che non ha signifi¬cative interruzioni occupazionali e va in quiescenza a 67 anni, potrà conta¬re su un 'tasso di sostituzione' tra il 40% e il 55% della retribuzione.

Al resto dovrebbero pensare i fondi pensione integrativi. Ma, invece di re¬golamentarli per averne pochi, robu¬sti e ben vigilati, in Italia ne abbiamo fatti nascere ben 700 (negli Stati Uni¬ti sono 900), in gran parte di dimen¬sioni lillipuziane e tali da rischiare di essere spazzati via alla prima crisi. È chiaro che, per dare maggiori certez¬ze ai più giovani, un riequilibrio di¬venta necessario.

In Svezia la transizione al nuovo sistema è avvenuta in tre anni. Da noi è ancora in corso Negli anni 60 il nostro Paese si era dato un sistema pensionistico tra i più generosi al mondo: assegni elevati e possibilità di cumularli Nell’attuale sistema i contributi versati da chi è al lavoro continuano a pagare i trattamenti di chi si è ritirato Ma in futuro si avrà molto meno

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