venerdì 12 agosto 2011

LA VERSIONE POCO “POLITICALLY CORRECT” DEL MOSE’ AL ROF in Il Riformista del 12 agosto


LA VERSIONE POCO “POLITICALLY CORRECT” DEL MOSE’ AL ROF
Beckmesser

Il momento più struggente del Rossini Opera Festival 2011 è la fine del Mosé in Egitto, “azione tragico-sacra” concepita dal buon Andrea Leone Tottola) e messa in musica dal 26nne pesarese per una mera occasione quaresimale. Si è appena ascoltato il magnifico sì bemolle con cui dovrebbe schiudersi un’epoca di pace, ma avanza in platea (non c’è distinzione tra sala e palcoscenico) un grande carro armato con la stella di Davide , lo fronteggia un bambino che sappiamo è imbottito di esplosivo. Roberto Abbado abbassa la bacchetta. Si spengono le luci. Non sappiamo come andrà a finire, ossia se tra carrista e bambino ci sarà un abbraccio o se salteranno insieme.
Il pubblico si divide non solo sull’ultima scena ma sull’intera lettura che Graham Vick (regista), Stuart Nunn (scene e costumi), Giuseppe Di Jorio (luci) e Roberto Abbado (direttore musicale) hanno dato ad un lavoro di solito interpretato come un film hollywoodiano a carattere biblico. I versi di Tottola restano tali e quali, ma l’azione è spostata alla Palestina di oggi con, per di più gli egiziani nelle vesti del Governo di Tel Aviv e Mosè (sempre con il mitra in mano) in quelle di un guerrigliero con seguaci pronti a trasformarsi in bombe umane. E’ un’interpretazione legittima? Oppure una forzatura che riflette le idee di Vick e dei suoi collaboratori piuttosto che quelle degli autori del lavoro?Alcune comunità ebraiche italiane hanno protestato. E’ bello, tuttavia, che invece di applaudire sopinamente (e stancamente) il pubblico dibatta e discuta; il teatro in musica torna a svolgere una funzione importante di risveglio della coscienza civile.
Resta, però, il sì bemolle:è un anelito, più che un invito alla pace, ad una pace universale non solo a quella tra israeliani e palestinesi – un assaggio ed un anticipo di quella che sarebbe stata la seconda scena con cui termina il secondo atto di Guillaume Tell . Un vero appello rossiniano; il compositore , lo sappiamo, detestava qualsiasi guerra e qualsiasi moto. Il suo sogno era estendere al mondo intero la pace ed i petits riens che aveva creato nel suo salon di Passy.
Ineccepibile l’esecuzione musicale. Sicura la bacchetta di Roberto Abbado alla guida dell’orchestra del Teatro Comunale di Bologna, ottimo il coro (sempre della fondazione bolognese) diretto da Lorenzo Fratini . Riccardo Zanellato e Alex Esposito si confrontato come Mosé ed il Faraone, Olga Senderskaya una grandiosa Amaltea (moglie del Faraone), Yiej Shi un agilissimo Aronne , Dmitri Korchak e Sonia Ganassi sono i giovani amanti divisi dal fatto di appartenere a razze differenti (ed in lotta l’una con l’altra).
Il Festival è stato aperto da una chicca, anch’essa in una lettura molto poco politically correct ma di interesse musicologico: Adelaide di Borgogna, opera che dal 1820 è stata presentata una volta sola, a Martina Franca nel 1984, in una versione non filologica.
Sul lavoro grava la reputazione di essere solamente in parte frutto di Rossini (che, esausto, a 25 anni, dal troppo comporre e dalle troppe donne, si fece molto aiutare dai suoi collaboratori) . Tratta di complesse trame attorno alla “corona di ferro” del Regno d’Italia nel 950 o giù di lì. Pier’Alli (autore di regia, scene, costumi e luci) vede l’azione (ben situata nel 950 circa) con gli occhi di un “patriota” del 1850 o giù di lì e Dmitri Jurowski (direzione musicale) da alla partitura toni risorgimentali, con accento su contrappunti ed accenni a dissonanze. In breve,la lettura della vicenda e della partitura è “proto-Risorgimentale”; un omaggio ai 150 anni dall’istituzione del Regno d’Italia. Alla prova del palcoscenico, l’opera mostra i suoi pregi in alcuni numeri (le arie di Adelaide, i duetti d’amore, il rondò finale con concertato) ma anche la sua debolezza come struttura teatrale e musicale complessiva. Pier Alli cerca di imprimere dinamica con proiezioni computerizzate e molta azione in scena, nonché una soffusa ironia. Parte del pubblico non ha gradito. Forse, dato il libretto scombinato e da “opera popolare”, sarebbe stato meglio ricorrere agli stilemi della siciliana “opera di pupi”; scene dipinti, personaggio stilizzati, costumi da medioevo immaginifico quale concepito dal pubblico romano di primo ottocento, coro fisso nel fondo in smoking e abiti lunghi per commentare l’azione. Difficile dire se Adelaide parte per un nuovo percorso o se le recite pesaresi decretano che si vedrà solo in qualche Music School di Università americame.
Daniela Barcellona (nel ruolo di Ottone) offre una nuova brillante prova. Una vera scoperta , il giovanissimo soprano di agilità australiano Jessica Pratt (in quello di Adelaide); bella l’agilità e tessitura di Bogdan Mihai (Adelberto) e buono il fraseggio di Nicola Ulivieri (Berengario).Adelberto e Berengario sono i due “cattivi”.
. Il cartellone prevede , inoltre, riprese de “La scala di seta” (adorabile commedia per adulti) e de “Il Viaggio a Reims” (affidato ai giovani dell’Accademia Rossiniana), nonché la prima esecuzione mondiale (una sera soltanto e in versione da concerto) della nuova edizione critica del “Barbiere di Siviglia”, concerti di bel canto e l’integrale pianistica dei “peccati di vecchiaia”.

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