martedì 30 agosto 2011

Il futuro dell’euro appeso a produttività e competitività Avvenire 30 agosto



Il futuro dell’euro appeso a produttività e competitività l’analisi

Secondo le equazioni del Nobel Mundell, senza convergenza dei 'fondamentali' in Europa unione monetaria a rischio


DI GIUSEPPE PENNISI

N egli anni Sessanta, al¬l’osteria 'Da Mario' in Via di San Vitale di Bo¬logna (400 lire a pasto, primo, secondo, frutta ed acqua del ru¬binetto, vini a parte), all’ora di colazione, si incrociava spesso l’allora giovane (oggi Premio Nobel) Robert Mundell (do¬cente alla Johns Hopkins Uni¬versity) a pranzo con alcuni stu¬denti: il Lambrusco, di cui era ghiotto, lo pagava lui (e lo tra¬cannava quasi tutto lui). In una di quelle colazioni, su un tova¬gliolo di carta tracciò le due e¬quazioni essenziali del teore¬ma dell’area valutaria ottimale che a 29 anni gli aveva dato fa¬ma e il finanziamento Fullbri¬ght per insegnare a Bologna e apprezzare l’Italia (passa gran parte dell’anno in un suo po¬dere del Chianti). Quel tova¬gliolo, ove esistesse ancora, do¬vrebbero essere meditato da tutti coloro che desiderano im¬pedire che l’unione monetaria si dissolva e l’euro venga ricor¬dato nei libri di storia dei nostri nipoti come il 'milite ignoto' dell’integrazione europea.

Mundell spiegava che le due e¬quazioni volevano dire 'effet¬tiva' mobilità dei fattori di pro¬duzione, delle merci e dei ser-vizi (da distinguersi da 'libertà di circolazione') non per uno sghiribizzo teorico per giunge¬re al grado più alto di un’inte-grazione economica (la mone¬ta unica), ma perché solo con convergenza di produttività e competitività l’unione mone-taria può funzionare.

Oggi tornare a quel paio d’e¬quazioni può evitare una dis¬soluzione dell’unione moneta¬ria analoga a quella della 'zona della sterlina' non tanto a ra¬gione del disavanzo dei conti con l’estero del Paese chiave, ma per l’acuirsi dei divari di produttività e competitività. In alcuni Paesi (tra cui l’Italia) la produttività non aumenta da dieci anni. In altri corre poiché è stata metabolizzata l’irrever¬sibilità dell’accresciuta concor¬renza innescata dall’euro. Il Paese-chiave, la Germania, ha affrontato dieci anni di sacrifi¬ci per mettersi al passo con la nuova situazione, ma non è suf¬ficientemente grande da pote¬re curare i mali dell’intero con¬tinente.

Mentre ci si gingilla con nuovi strumenti di convergenza di fi¬nanza pubblica, per salvare il 'soldato semplice euro' occor¬re affiancarli con strumenti di economia reale tali da pro¬muovere la convergenza di pro¬duttività e competitività e offri¬re a chi non è in grado di farlo una via d’uscita che non com¬porti un trauma per l’Unione Europea e per i Paesi in ritardo. In questa ottica anche gli 'eu¬robond' dovrebbero essere vi¬sti come veicolo di sviluppo e non di tamponamento di falle. Si potrebbe pensare a un per¬corso decennale a tappe con in¬dicatori di produttività e com¬petitività (analogo al percorso di convergenza finanziaria del Trattato di Maastricht) . Chi do¬po venti anni dal varo dell’eu¬ro e trenta dalla firma di Maa¬stricht, non può (o non vuole) convergere in termini di pro¬duttività e competitività, può trovare alloggio nello «SME2» con misure fatte su misura per le sue circostanze (la Danimar¬ca ha un tasso di fluttuazione del 2,5% rispetto all’euro, la Gran Bretagna del 30%).

Non c’è tempo da perdere. Il più noto economista tedesco Hans- Werner Sinn suggerisce che la Grecia stacchi l’ancora e torni alla dracma; in seguito, a suo parere, lo dovrebbero fare altri Stati (tra cui forse l’Italia). L’economista André Cabannes ha lanciato addirittura la pro¬posta di un sistema duale: Gre¬cia, Francia, Irlanda, Italia, Por¬togallo e Spagna utilizzino le lo¬ro 'vecchie' monete (dracme, franchi, lire, sterline, scudi, pe¬seta) per le transazioni interne e l’euro per quelle europee ed internazionali, come avveniva nell’unione monetaria latina che è durata dal 1866 al 1927 (e nella 'zona della sterlina' co¬me ricordato da Avvenire del 25 agosto). Le Banche centrali na¬zionali gestirebbero la liquidità delle monete nazionali, la Bce quella a livello di euro. Gli ag¬giustamenti, secondo l’econo¬mista, sarebbero più facili e più visibili e incentiverebbero a mi¬gliorare produttività e compe¬titività.

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Robert Mundell, premio Nobel economia 1999 Alla c.a. Marco Girardo & co.

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