martedì 16 agosto 2011

IL DIAVOLO E LA FEDE NEL “CASO MAKROPOULOS”in il Velino 17 agosto

IL DIAVOLO E LA FEDE NEL “CASO MAKROPOULOS”

Edizione completa
Stampa l'articolo
Salisburgo - Il Festival di Salisburgo si dipana, dal 27 luglio al 28 agosto, in oltre 200 spettacoli, repliche comprese (tra prosa, opere, balletti) ed ha nel suo seno un minifestival di musica contemporanea. È un festival a tema e con un personaggio-simbolo di cui si leggono frasi significative sia nel programma sia in striscioni nell’edificio (ricavato nella montagna) in cui sono stati scavati tre della dozzina di luoghi di spettacolo. Il tema è “La Fede ed il Diavolo”. Il personaggio–simbolo è Luigi Nono dalla cui morte ricorrono dieci anni. Nono era rigorosamente marxista e non credente. C'è una contraddizione tra il tema ed il personaggio? Forse no se la “non credenza” di Nono viene interpretata come anelito di credere ma – come lui stesso ha più volte detto - impossibilità di farlo a fronte delle crudeltà del mondo (che Dio non avrebbe tollerato). Impossibile presentare una sintesi del Festival; sarebbe inadeguato. Meglio soffermarsi su un solo lavoro “Il Caso Makropoulos” o “L’Affare Makropoulos” (a seconda delle traduzione dal moravo) di Leoš Janá ek, opera raramente rappresentata in Italia (se ne ricorda una non eccelsa versione in traduzione ritmica italiana – curata da Ronconi e Bartoletti- una ventina d’anni fa) ma in programma a Firenze il prossimo autunno. In apparenza, il lavoro è un dramma poliziesco: tratta di un processo su una vertenza di successione che dura da più di cent’anni in cui si inserisce una bellissima e giovanissima cantante - Emilia Marty - che tanto sa (e tanti documenti sa trovare) ma cerca disperatamente un manoscritto in greco. Il dramma di apek (l’inventore, tra l’altro, del personaggio, e nome, robot) dura oltre quattro ore ed è pieno di discorsi filosofici. I tre atti di Janá ek durano (come tutti i suoi lavori per la scena) 90 minuti e rendono meglio se, come nell’edizione vista ed ascoltata a Salisburgo, vengono rappresentati senza intervallo ma con brevissime pause tra un atto e l’altro.

L’opera in effetti tratta del valore e della durata della vita come esperienza terrena. Emilia Marty ha 337 anni; ha avuto negli oltre 3 secoli vari nomi tutti con le iniziali E.M.; suo padre, il negromante cretese Makropoulos, ha predisposto una lozione di lunga vita per l’Imperatore d’Ungheria, lei la ha provata, è rimasta sempre giovane ma allo scadere dei giorni in cui si svolge l’opera deve bere di nuovo la pozione o morire. La ricetta si è smarrita nelle mani di un antenato di coloro coinvolti nel maxi-processo. Quindi, la sua ricerca affannosa e la disponibilità di dare in cambio dati essenziali per la vertenza. È così bella che una delle controparti nel processo (senza sapere di essere un suo bisnipote si innamora perdutamente di lei) e che un ‘altra parte in causa si suicida quando apprende che suo padre (in possesso delle carte in greco) dà il documento in cambio di una notte di sesso con lei. Ma, anche sotto le lenzuola, Emilia è fredda. In 300 anni, i suoi amici, i suoi amanti, le sue persone care sono sparite, mentre lei vagava da Paese a Paese cambiando sempre nome, restando sempre giovane ed affinando sempre le tecniche di canto. Quando ha il documento, lo cede alla fidanzata (giovane) di uno dei suoi innamorati, che lo brucia, mentre lei invecchia in pochi istanti e muore. La scrittura orchestrale e vocale di Janá ek è un magico equilibrio tra il melodismo nostalgico slavo e il sinfonismo pagano di Richard Strauss, con influenze di Debussy (del quale Janacek conosceva bene sia “La Mer” sia “Pelléas”) sull’orchestrazione. Massimo Mila ha parlato di “un ininterrotto mormorio”, inafferrabile e inclassificabile, nutrito di ingredienti anche diversi da quelli del sinfonismo di Strauss, e provvisto di temi di assoluta originalità, nonché di delicatezza impressionistica e di calligrafismo sonoro da Ravel campagnolo. Ancora più interessante la scrittura vocale in cui note e parole si plasmano a vicenda le une sulle altre sino all'immenso arioso finale. Un equilibrio che si può afferrare, con l'ausilio dei sovrattitoli. L'allestimento di Salisburgo, coprodotto con il Teatro Nazionale di Varsavia (ma si vedrà anche e Vienna e forse alla Scala) è curato, per la parte drammaturgica da Christoph Marthaler e, per quella musicale, da Esa-Pekka Salonen.

Un scena unica: un'immensa aula di tribunale dove nel primo atto si svolge il processo sulla vertenza ereditaria e nel terzo l'interrogatorio di E.M. da parte di tutti gli altri. Serrata la concertazione di Esa-Pekka Salonen alla guida dei Wiener Philarmoniker in forma sgargiante. E.M. è Angela Denoke, uno dei rari soprano in grado di affrontare il difficilissimo ruolo in cui si va dal chiacchierar cantando al declamato ed un arioso imperniato sui Do. Raymond Vernay, un tenore di razza, è Albert Gregor. Johan Reuter, un baritono mellifluo, Jaroslav Prus, Ales Briscein suo figlio Janek, Jurgita Adamonyté la giovane Krista che decide di bruciare la cosa Makropolous. Con i numerosi altri costituiscono un'ottima compagnia di canto.
(Hans Sachs) 16 Agosto 2011 19:48
.

Nessun commento: