martedì 19 luglio 2011

PRIVATIZZARE PER CRESCERE Il Velino 19 luglio

PRIVATIZZARE PER CRESCERE
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Stampa l'articolo Roma - Ai mercati non è piaciuta la manovra di finanza pubblica specialmente perché i suoi contenuti in materia di crescita sono deboli. È l’occasione per riprendere in mano l’ultimo libro di Franco Reviglio Good-bye Keynes? Le riforme per tornare a crescere - Meno debito, Più Lavoro pp.144 Milano, Guerini e Assiociati 2010 che un anno fa ha avuto meno attenzione di quella che avrebbe meritato. Reviglio è stato uomo di governo e alla guida di complessi industriali internazionali e di servizi pubblici locali. È, quindi, “uno che se ne intende”. Nel suo ultimo libro ricorda alcune cifre che dovrebbero causare imbarazzo. Nel periodo 1990-2006, nell’Unione Europea (UE) sono state effettuate 1.111 operazioni di privatizzazione, con un provento di circa 600 miliardi di euro. Nello stesso arco di tempo, in Italia, si sono avute 139 operazioni (12,5 per cento del totale) con ricavi pari a 137,9 miliardi di euro (un quarto del totale Ue). Ma - si badi bene - partivamo da un’economia con un intervento pubblico più massiccio che in altri Paesi europei. Inoltre, la “curva delle privatizzazioni”, per così dire, mostra un andamento ascendente, specialmente dopo il 1996 (il primo lustro, lo ho illustrato in altra sede è stato essenzialmente di preparazione) con un brusco arresto nel 2006.

Il quadro di altri Paesi - si dirà - è meno incoraggiante: negli Stati Uniti, in Francia, in Gran Bretagna, in Spagna, in Portogallo e in Irlanda (per non citare che alcuni tra i casi salienti)- le operazioni di salvataggio allo scoppio della crisi iniziata nel luglio 2007 hanno causato ondate non di nazionalizzazioni anche in Paesi (principalmente gli Usa) di solito restii alle braccia tentacolari dell’intervento pubblico. In Italia, lo abbiamo evitato. Possiamo riprendere la massima di Tevye, il contadino dalle tasche sempre vuote della fortunata commedia musicale Fiddler on the Roof (Un violinista sul tetto): non dobbiamo vergognarcene ma neanche gloriarcene. In effetti, le privatizzazioni sono, con le liberalizzazioni, tra le poche strade possibili per riprendere a crescere - dopo tre lustri di andamento economico rasoterra - in un’economia come la nostra schiacciata da un forte peso del debito pubblico. Non per nulla i 20 maggiori centri di analisi econometrica prevedono per il 2011 un aumento del pil inferiore a quello (non certo esaltante) segnato nel 2010. Sul futuro a medio termine si staglia lo spettro del ritorno di un tasso di disoccupazione a due cifre e di sempre maggiori tensioni in materia di coesione sociale.

Nell’ultimo anno, la posta principale (in tema di privatizzazioni) è stato il tentativo (mancato) di trovare un’acquirente per la Tirrenia. Grazie all’applicazione di norme europee - il cosiddetto “Decreto Ronchi” - erano state poste, però, le basi per ridurre la partecipazione pubblica nel “capitalismo municipale” (i servizi pubblici locali spesso raggruppati in consistenti conglomerati che, tuttavia, gli enti decentrati vogliono ben tenere sotto il loro controllo); sono state però in gran misura azzerate per referendum. Ci sono stati tentativi, con limitato successo, di dismissione del patrimonio immobiliare. Poco o nulla si è fatto per incidere nei campi dove più si potrebbe e dovrebbe fare: Rai, Poste, Enel, Eni, Finmeccanica, Ferrovie dello Stato.

Non mancano certo le ricette tecnico-economiche per denazionalizzare questi “giganti” in toto o in una parte maggiore di quanto non si è già fatto. Questi, e altri, “campioni nazionali” sollevano complessi problemi, specialmente se i potenziali acquirenti sono fondi sovrani esteri che non sempre operano con logiche puramente economiche. Ciò nonostante, la loro privatizzazione deve essere ai primi posti dell’agenda di politica economica.(Giuseppe Pennisi) 19 Luglio 2011 12:36

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