martedì 26 luglio 2011

Il "Rigoletto" dello Sferisterio si moltiplica per dieci in Il Sussiadiario del 26 luglio

LIRICA/ Il "Rigoletto" dello Sferisterio si moltiplica per dieci
Giuseppe Pennisi
martedì 26 luglio 2011
Foto Ansa
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Macerata. Non ci sono soltanto notizie inquietanti dal mondo della lirica - minacce di scioperi e di teatri sull’oro della chiusura. Il 23 luglio ne sono giunte ne sono giunte due positive . Tra le due il nesso è unicamente casuale. La prima riguarda il Teatro Massimo di Palermo che, grazie ad una sana gestione, ha chiuso (nonostante “i tagli” dei contributi del Fus) il bilancio consuntivo 2010 in attivo: era un ente che dieci anni fa veniva considerato un pozzo senza fondo; purtroppo, la stampa del 24 luglio (se si esclude quella locale) pare non essersene accorta. La seconda viene da Macerata dove è iniziato il Festival Sferisterio 2011 (22 luglio-11 agosto) con il tema “Libertà e Destino” ed un programma variegato di tre opere, un balletto e concerti nei vari spazi che offre la deliziosa piccola città marchigiana.

Aperto da due lezioni magistrali (una del Vescovo di Macerata ed una di Massimo Cacciari) e da un nuovo allestimento del verdiano “Un Ballo in Maschera” curato da Pier Luigi Pizzi, la seconda opera andata in scena (tra una pioggia e l’altra) è un interessante “Rigoletto” con la regia di Massimo Gasparon (la terza è “Così Fan Tutte”, ripresa da una produzione di successo del Teatro delle Muse di Ancona).


E’ su “Rigoletto” che vale la pena soffermarsi in quanto è un esempio di quelle “buone prassi”, essenziali per restare in Europa, che “Il Sussidiario” sottolinea da sempre: lanciata all’Arena Sferisterio è una co-produzione che coinvolge una diecina di teatri – dal circuito lombardo (Como, Pavia, Cremona, Brescia, Bergamo), al circuito marchigiano (Jesi e Fermo oltre a Macerata), all’Arcimboldi di Milano, a Piacenza, Ferrara e Ravenna. Sono possibili trasferte (e noleggi) all’estero.


Gasparon ha pensato un dispositivo scenico che può essere facilmente utilizzato per differenti palcoscenici: una piattaforma girevole da cui emergono il salone delle Feste di Palazzo Ducale, i vicoli di Mantova, la casa di Rigoletto, l’osteria di Sparafucile in riva al Mincio. Interessanti anche i costumi: i protagonisti vestono abiti 1850 circa (ossia contemporanei alla prima rappresentazione dell’opera), i cortigiani vesti sgargianti invece ispirati al Tiepolo; il dispositivo consente un’azione quasi cinematografica. Una “co-produzione” di questo genere riduce i costi (in Italia sono mediamente il 140% di quelle dell’Europa a 15 ed il 250% di quelli dell’Europa a 27) non solo di allestimento ma anche di scritture in quanto se un artista è scritturato per 20 sere richiede un cachet per sera ben inferiore rispetto a quello di una scrittura per 4 o 6 sere. Esempio , quindi, da imitare


Nella “trilogia popolare” di Verdi, “Rigoletto” è l’opera che incarna i canoni del melodramma italiano quale plasmato dal “cigno d Busseto”: supera i “numeri chiusi” con declamati, ariosi e concertati (il terzo atto non è divisibile in “numeri”); ha un flusso orchestrale continuo al cangiare delle atmosfere (il secondo quadro del primo atto); e, soprattutto, ha personaggi con psicologie scavate a fondo. Rigoletto è il grande reietto ; sfigurato nel corpo, con un’anima sincera ed una seconda vita nascosta. Costretto a fare il compagno di bagordi del Duca di Mantova, si accorge che costui gli ha sedotto la figlia, Gilda. Assolda un killer per ucciderlo. Ma il pugnale trafigge la fanciulla. Dramma, quindi, cupo. E’ anche una delle opere più amate dal pubblico.

Soffermiamoci su questa produzione che verrà vista in molte città italiane e merita di andare all’estero. La recensione si basa un una “prima” molto attesa pure per il debutto allo Sferisterio del 24anne Andrea Battistoni (nuova “star” delle bacchette italiana) ma contrastata da una pioggia che ha costretto ad interrompere per oltre un’ora la rappresentazione dopo il primo quadro del primo atto. Occorre dare atto a maestranze ed artisti dello sforzo fatto per riprendere lo spettacolo e ridurre i tempi di intervallo in modo che l’opera terminasse all’1,30 del mattino (la previsione iniziale .era per 23 e 45).

L’impianto di Massimo Gasparon è suggestivo, oltre che funzionale: il dipanarsi delle scene e la differenza temporale dei costumi illustra (con un abile gioco di luci) stati d’animo, non solo i luoghi dell’azione. Battistoni ha mostrato alcune incertezze (nel coordinamento tra buca e coro) nella prima scena del primo atto ma era forse preoccupato dalle nubi nere che si addensavano; alla ripresa ha concertato con precisione. E’ , però, essenziale che non si sieda sugli allori ma continui a studiare: lo attende una prova difficilissima “Nozze di Figaro” alla Scala – Karajan affermava che la si affronta unicamente dopo che si hanno in repertorio almeno 30 opere in una dozzina di teatri secondari.

Tra le voci, sempre di gran rilievo Desirée rancatore, giovane (e bella) nonché maestra del ruolo che ha cantato in Italia ed all’estero più volte; un vero e proprio usignolo in grado di effettuare il “sovracuto” al termine di Caro Nome. Ismael Jordi è un giovane “tenore di grazia”, il suo “Duca di Mantova” è, quindi, più sensuale e più delicato di quanto ci si aspetta a ragione dell’evoluzione che, negli anni, ha portato ad affidare la parte a “tenori lirici spinti”. Il protagonista è Giovanni Meoni, che offre un “Rigoletto” personalissimo,moderno, scavato nella psicologia- lontano (finalmente) da due grandi (Bruson e Nucci) che in Italia hanno dominato la scena in questi ultimo 40 anni.

Almeno un cenno all’opera inaugurale: la vicenda di “Un Ball in Maschera” viene spostata da Pizzi dalla Boston coloniale all’America del 1960 circa ed alla Casa Bianca e dintorni. Quindi tra tensioni innovative (anche e soprattutto politiche), resistenze e rapporti sentimentali quanto meno complicati. L’azione si svolge quasi interamente sul boccascena, ma dai due lati spettatori/comparse assistono e partecipano ai momenti di massa mentre sul grande muro dello Sferisterio vengono proiettati su tre schermi dettagli in un bianco e nero dei cinegiornali dell’epoca. Uno spettacolo affascinante che coglie il senso “politico”, e passionale, de “Un Ballo”.

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