lunedì 2 maggio 2011

Trascurati i teatri di tradzione Musica maggio

La polemica di maggio 2011


Trascurati i Teatri di Tradizione

Il dibattito sul Fondo Unico per lo Spettacolo sembra avere interessato principalmente le quattordici fondazioni lirico sinfoniche. Pochi hanno parlato dei teatri di tradizione, che assorbano appena il 6-7% del FUS e a cui si devono alcuni dei progetti più innovativi realizzati negli ultimi anni. I teatri di tradizione sono una trentina e hanno il compito, secondo la normativa, «di promuovere, agevolare e coordinare le attività musicali, con particolare riferimento all'attività lirica nei territori delle rispettive province». Sono il frutto della storia d'Italia, composta di Stati grandi e piccoli prima dell'Unità, ciascuno dotato o di un teatro «regio» o «ducale» o di un teatro – spesso chiamato «nuovo» o «sociale» – costruito dalla borghesia. I teatri di tradizione non hanno lavoratori stabili se non all'osso, operano spesso in stretta collaborazione tra di loro formando circuiti in cui gli allestimenti vengono coprodotti e scambiati, lanciano nuove voci, nuove regie e da qualche anno si affermano pure all'estero. Contano sul supporto degli enti e anche delle imprese locali. E meritano di ricevere molto maggiori sostegno dal FUS. Anche perché alcuni degli spettacoli più interessanti degli ultimi anni sono nati proprio in questo ambito: penso al Giulio Cesare di Händel che sta spiccando il volo dai teatri di tradizione dell'Emilia- Romagna verso due importanti Festival tedeschi e uno dei teatri polacchi di maggior prestigio.
La loro importanza viene indirettamente evidenziata da uno studio del maggiore istituto di analisi economica tedesco, l'IFO. Gli economisti Olivier Flack, Michael Frisch e Stephan Heblick studiano lo sviluppo regionale realizzatosi nelle aree dove erano stati costruiti teatri prima della rivoluzione industriale (dove la costruzione del teatro era una causa, e non una semplice conseguenza, dello sviluppo). L'analisi riguarda ventinove teatri, alcuni in città ora grandi ma allora piccole, altri in centri rimasti minuscoli. Le città con teatri hanno avuto una crescita del Pil superiore di uno-due punti percentuali l'anno rispetto a quelle senza. Lo studio conclude che la politica deve pensarci due volte prima di ridurre finanziamenti alla cultura. E che occorre privilegiare chi con poco attiva molto.


Giuseppe Pennisi

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