domenica 1 maggio 2011

GREEK PASSION, LA LIRICA TROVA LA FEDE Avvenire primo maggio

GREEK PASSION, LA LIRICA TROVA LA FEDE
Giuseppe Pennisi
Dopo 50 anni dalla prima a Zurigo, “The Greek Passion” di Bohuslav Martinů (1890-1959) arriva sulle scene italiane. Nonostante che il romanzo di Niko Kazantzakis, da cui è tratto, abbia ispirato uno dei più noti film di Jules Dassin (premiato a Cannes ed uscito in Italia con il titolo Colui che Deve Morire). Il lungo ritardo è stato causato, oltre che dai costi di produzione (ben venti solisti ed un doppio coro), dal carattere ove non apertamente religioso, quanto meno fortemente spirituale del lavoro. Questo aspetto, ed un finale ottimista rivolto alla Provvidenza, lo distanziano sia dal romanzo sia dal film.
La scrittura orchestrale e vocale rifugge dalla contemporaneità ed è, invece, tonale , nonché caratterizzata da un forte contrappunto di stampo neobarocco e di richiami sia alla musica nazionale slava e greca sia all’impressionismo francese, oltre che ai salmi della Chiesa d’Oriente.
“The Greek Passion” (il cui libretto in inglese è dello stesso compositore) è un’opera in quattro atti di una durata complessiva di circa due ore. Una Sacra Rappresentazione della Passione si svolge, periodicamente, a Likovrissi, tra i monti dell'Anatolia occupata dai turchi. La maturazione interiore di un pastore, Manolios, chiamato ad interpretare Gesù nella Rappresentazione lo trascina , poco a poco, a cambiare vita sino a morire sacrificandosi per gli altri al fine di aiutare profughi a cui i turchi hanno bruciato le case e che gli abitanti di Likovrissi intendono respingere, sia per timore dei proconsoli turchi sia, soprattutto, per non condividere con altri quel che poco che hanno . E’ lavoro intenso che ripropone, in forma divulgativa, “la leggenda del Grande Inquisitore” che ispirò uno dei capitoli più affascinanti de “I Fratelli Karamoz” di Fëdor Dostoesky ed oggi è al centro di un dibattito innescato da un pamphlet del sociologo Franco Cassano: ossia se Gesù tornasse sulla terra, come lo accoglieremmo? La risposta di Kazantzakis è che oggi ci comporteremmo come si comportano i gentili ed i romani 2011 anni fa. Nell’opera di Martinů è, invece, coloro scelti per interpretare gli apostoli nella Sacra Rappresentazione paesanoa continueranno l’opera di Manolios.
La vicenda viene proposta dalla regia di Damiano Michieletto in tutta la sua attualità: l’arrivo dei profughi perseguitati dai turchi innesca un forte cambiamento in tutti i componenti della piccola comunità . Un macchina scenica imponente (di Paolo Fantini) mostra le differenze di ceto, di ruolo e di atteggiamento e fa da cornice alla trasformazione di Manolios. L’orchestra guidata da Asher Fisch sottolinea la complessa struttura strumentale senza mai coprire le voci (ogni parola del libretto è infatti significativa). Tra la ventina di solista spiccano l’heldentenor Sergey Nayda (Manolios) ed i due bassi , Mark Doss e Luis-Ottavio Farina, parroci , rispettivamente, di Likovrissi e degli sfollati, nonché Judith Howarth in quello di Katarina/Maddalena.
Buona l’accoglienza del pubblico. Il Teatro Massimo di Palermo (uno dei pochi con i conti a posti) merita un elogio ed una candidatura al “Premio Abbiati”.
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