venerdì 13 maggio 2011

Ecco la trappola dei salari netti più bassi (In Italia) in busta paga Il Velino 13 maggio

ECO - La trappola dei salari netti più bassi (in Italia) in busta paga

Roma, 13 mag (Il Velino) - Il rapporto Ocse che documenta come siamo nel gruppo di testa dei Paesi caratterizzati da alte tasse sul lavoro e bassi salari netti in busta paga risulta una sorpresa unicamente per coloro che non seguono regolarmente la letteratura economica. Alcuni mesi fa, Giorgio Barba Navaretti dell’Università Statale di Milano e Guido Tabellini dell’Universtà Bocconi hanno pubblicato un’analisi delle “cure urgenti dell’Italia che non sa crescere”. La diagnosi è ineccepibile: tra il 2005 e il 2008 il Pil italiano è cresciuto di otto punti meno della media dell’area dell’euro; nel 2009 è calato (-5 per cento contro - 4,1 per cento) più della media di Eurolandia; le previsioni per il 2010-2011 indicano “che la ripresa italiana non sarà più rapida” della media di quella dei paesi a moneta unica. A queste stime è utile aggiungere (anche se Barba Navaretti e Tabellini non lo fanno) che nel 2006, alla vigilia della crisi economica internazionale, la Banca centrale europea indicava nell’1,3 per cento l’anno il potenziale massimo di crescita dell’economia italiana di lungo periodo, il più basso tra quelli quantizzati per l’area dell’euro. Per i prossimi due anni le previsioni Ocse indicano una crescita del Pil dell’1,2 per cento nel 2011 e dell’1,6 per cento nel 2012, sempre che tutte le misure previste vengano attuate, e decretate, per potenziare lo sviluppo.

La diagnosi di Barba Navaretti e di Tabellini identifica la principale determinante della bassa crescita nell’ormai ventennale rallentamento del tasso di produttività dei fattori (non solo lavoro ma anche capitale). Lo studio Bce va più a fondo: nel senso che identifica nell’andamento demografico (denatalità, invecchiamento della popolazione) una delle cause del deceleramento della produttività. La diagnosi di Barba Navaretti e di Tabellini, tuttavia, è corretta nel puntare a una delle conseguenze: il rallentamento della produttività vuole dire in Italia salari netti in busta paga più bassi che nel resto d’Europa (il divario con la Francia è il 15 per cento, con la Germania il 30 per cento, a parità di qualifica) e, quindi, bassi consumi e bassi investimenti, nonché bassa crescita, mentre solo con un aumento sostenuto del reddito nazionale possiamo smaltire, in un arco di lustri, l’Himalaya del debito pubblico.

Da questa analisi emergono i lineamenti per una terapia: in sostanza, porre la parola fine agli interventi a pioggia e allocare le risorse disponibili su attività altamente produttive. Indicazione ancora una volta ineccepibile, ma incompleta. Gli interventi a pioggia - occorre ricordarlo - non sono unicamente frutto di clientelismo e di incompetenza politica e amministrativa. Negli ultimi dieci anni, una delle determinanti è stata la normativa D’Alema-Amato (dai governi che la hanno proposta) varata frettolosamente prima delle elezioni politiche del 2001 nella speranza di catturare elettori favorevoli al federalismo. L’esito non è stato il federalismo ma lo spolpamento di competenze tra amministrazioni centrali e Regioni (ho avuto modo di studiare in particolare quello del ministero delle Attività produttive). Specialmente, in seguito alle elezioni regionali del 2005, ciò ha portato a una discrasia tra attività dello Stato e quelle delle Regioni in campi “concorrenti” come quelli delle politiche per l’industria, l’agricoltura, l’ambiente e il territorio, rendendole sempre meno coerenti e aggravando le altre determinanti che portavano comunque a interventi a pioggia. L’omogeneità di visione politica tra Stato e Regioni (che caratterizza gran parte dell’Italia e della sua popolazione) dovrebbe essere un antidoto a questa situazione. Deve essere, però, integrato da uniformità di parametri di valutazione e di criteri di selezione degli interventi , da definirsi nell’ambito della Conferenza Stato-Regioni. Nel lungo termine, la cura non sarebbe adeguata se non sostenuta da interventi per la famiglia tali da alterare gli andamenti demografici, un obiettivo che può essere raggiunto solo gradualmente e con provvedimenti incrementali.

(Giuseppe Pennisi) 13 mag 2011 12:11

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