mercoledì 26 gennaio 2011

Le radici economiche dello scontro in Albania. Il Velino 26 gennaio

ECO - Le radici economiche dello scontro in Albania

Roma, 26 gen (Il Velino) - Le determinanti politiche - ossia i veri o presunti brogli alle ultime elezioni - si intrecciano con determinanti economiche che tocca con mano l’economista che arriva all’aeroporto di Tirana e passa alcuni giorni nel Paese. I dati ufficiali della contabilità economica nazionale, riportati anche da alcuni quotidiani italiani di grande diffusione, mostrano un Paese in rapida crescita il cui Pil pro capite sarebbe quintuplicato dalla caduta del comunismo ad oggi e la cui distribuzione del reddito (con una curva di Lorenz del 26 per cento) sarebbe prossima a quella della Scandinavia. Arduo comprendere perché in un Paese relativamente piccolo (poco più di tre milioni di abitanti in un territorio montagnoso pari a circa un terzo di quello della Puglia) caratterizzato da una forte crescita e da un’equa distribuzione dei suoi benefici sia in atto uno scontro violento. L’economista con esperienza in Paesi in via di sviluppo è consapevole di come i dati della contabilità economica nazionale (specialmente quelli sulla distribuzione del reddito) debbano essere presi con le molle, anzi con diffidenza (specialmente se la struttura di produzione è dominata da costruzioni, pubblica amministrazione, commercio e agricoltura/ pastorizia di sussistenza).

Nel giugno scorso, per una serie di lezioni a un programma di master per dirigenti pubblici, facendo il percorso dallo sfavillante aeroporto di Tirana (molti Paesi in via di sviluppo si dotano di aerostazioni di rango in quanto le considerano il primo biglietto da visita che mostrano al visitatore straniero) al centro della città, conversando con gli allievi - alti funzionari dello Stato e degli enti locali - , andando nei ristoranti e anche a uno spettacolo del Teatro dell’Opera, si avvertiva la forte sensazione di un diffuso crescente malessere per ragioni non solo politiche ma anche e soprattutto economiche. Tirana appare come un enorme cantiere in costruzione con viali che si dipanano da un centro “storico” costruito a immagine di Latina (o meglio Littoria) quando il Regno d’Albania era in un’unione personale con quello d’Italia. Gli eleganti quartieri nei pressi degli edifici pubblici erano presidiati dalla polizia perché circondati da una tendopoli in cui già da un anno - ossia dalle ultime elezioni per il rinnovo del Parlamento - si protestava giorno e notte (in effetti pacificamente) a proposito dei veri o presenti trucchi che avrebbe consentito al Partito Democratico, guidato da Sali Berisha, di risultare il più votato appena per un soffio.

Usciti dal centro “storico” in senso stretto, ci sono vasti quartieri nati da poco e le cui palazzine (in stile edilizia popolare italiana) erano in gran misura vuote. Chiaramente, le rimesse degli emigranti e i frutti di altre attività più o meno lecite sono andati quasi interamente all’edilizia - comparto con un elevatissimo rapporto incrementale tra capitale investito e output - non tanto per ignoranza o ignavia quanto per mancanza di alternative. Gli investimenti in edilizia danno l’impressione di trainare il prodotto interno lordo ma in effetti, se uffici e appartamenti restano vuoti, non contribuiscono a un bel nulla. Nei viali non mancano negozi, dove, però, quasi tutta la mercanzia è importata (in gran misura dall’Italia) dato che il settore manifatturiero interno è quasi inesistente; anche molti prodotti agricoli vengono dall’estero poiché il Paese produce essenzialmente pesca, pastorizia e una gamma limitata di ortaggi. In breve, la crescita reale che si è verificata grazie ad aiuti internazionali, rimesse e attività di albanesi all’estero è confluita quasi interamente in mattoni e calcestruzzo, negozi e supermercati, nonché in una pubblica amministrazione tentacolare in epoca comunista e rimasta sostanzialmente tale. Poco distante dal centro troneggia lo scheletro di un grande ospedale, finanziato (si dice) da programmi italiani e inaugurato già due volte È uno scheletro vuoto fiancheggiato da due gru arrugginite. Il cantiere pare sia stato smontato circa dieci anni fa. I costi del manufatto sono entrati come investimenti nella contabilità economica internazionale anche se i ricavi finanziari e i benefici economico-sociali sono nulli. È emblematico di un’economia cresciuta solo in apparenza.

I viali sono anche fiancheggiati da pubblicità di università: poco prima delle elezioni del 2009 ne sono state parificate numerose. Ora l’Albania si fregia di ben 53 atenei di tutti i tipi e di tutte le sorte (una grande “università turca” è in costruzione nei pressi dell’aeroporto). Producono quel capitale umano così necessario allo sviluppo di un Paese di circa tre milioni di persone? Le contraddizioni appaiono evidenti passando una serata al Teatro dell’Opera della capitale. In una sala di circa 700 posti c’era la Tirana-che-può per un concerto di un giovane tenore albanese ormai noto a livello internazionale (Saimur Pirgu) e dell’orchestra stabile locale. Anche un visitatore giunto da pochi giorni poteva avvertire come l’aria si potesse tagliare a fette. Le tensioni tra i vari gruppi, probabilmente espressione di clan tradizionali, riguardavano - lo si comprendeva nel ricevimento dopo il concerto - chi avesse messo le mani sui giacimenti di petrolio scoperti tra Scutari e Durazzo circa cinque anni fa e della cui consistenza e qualità ancora si discute. Il petrolio viene visto come la speranza per un Paese privo di risorse e tenuto in piedi da flussi di finanziamento dall’estero. È verosimilmente l’effettivo oggetto del contendere, il “sottostante” - si direbbe in termini finanziari - degli scontri di questi giorni. Potrebbe rivelarsi frutto di lacerazioni profonde come, per ricordare un esempio recente, il giacimento chiamato “Espoir” nella Costa d’Avorio.

(Giuseppe Pennisi) 26 gen 2011 15:57

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