mercoledì 3 novembre 2010

Quattro punti per uscire dalla cisi in Ffwebmagazine 3 novembre

Come dare una sterzata alla politica economica
Quattro punti
per uscire dalla crisi
di Giuseppe Pennisi L’ultimo fascicolo di The Economist parla dell’“atterraggio” dell’economia europea ed analizza il confronto in atto tra Francia e Germania sulle “strategie d’uscita” dalla crisi, relegando l’Italia tra gli Stati della “periferia”meridionale e occidentale dell’Ue (in compagnia d’Irlanda, Grecia, Portogallo e Spagna). Le stime prodotte dal gruppo di istituti di analisi econometrica del “consensus” (20 istituti, tutti privati, nessuno italiano) affermano alla loro tornata del 29 ottobre che nei prossimi 24 mesi il nostro Paese farà fatica anche a tenere un tasso di crescita dell’1%. Inevitabile – afferma il Working Paper 119 della Banca centrale europea un deterioramento della situazione occupazionale e sociale anche a ragione dell’erosione della competitività. Di fronte a queste prospettive non è doveroso, prima ancora che legittimo, chiedersi se non sia il caso di dare una sterzata alla politica economica? Lo si può fare in quattro mosse:
1) Mantenendo fermi i saldi di bilancio con una politica però non di tagli lineari ma di priorità settoriali che salvaguardi capitale umano, infrastrutture e sociale ed agisca con maggiore decisione sulle "contabilità speciali" che pullulano da alcuni anni negli anfratti di alcuni dicasteri (annidando risorse che potrebbe essere utilizzate per lo sviluppo e per lenire il crescente disagio sociale. Una politica di tagli selettive e di politiche settoriali che metta l’accento sul capitale umano, sulla ricerca e sul fattore lavoro – si badi bene- non un capriccio di dissenzienti e controcantisti ma quanto proposto per l’Ue da Philippe Aghion , un Premio Nobel in pectore. Nei suoi dettagli tecnico giuridici, viene presentata in un lavoro delle Università di Belfast e di Durham da un’équipe di professori distanti dalle nostre beghe di bottega. Rispecchia, dunque, un’esigenza fortemente sentita.
2) Un programma d’infrastrutture europee od euromediterranee con il supporto delle istituzioni Ue (e se possibile attirando anche fondi sovrani) ed allestite in modo che siano tali da attivare capacità produttiva non utilizzata (specialmente di lavoro) in fase di cantiere, e di aumentare la produttività dei fattori in fase a regime. E’ stato il tema centrale della conferenza internazione del Long Term Investors Club organizzata all’Isola di San Michele a Venezia dal 27 al 29 ottobre dalla Cassa Depositi e Prestiti ed a cui hanno preso parte circa 200 specialisti.
3) Prendendo la guida nell’elaborazione di criteri comuni europei per investimenti in infrastrutture a lungo termine in modo che essi possano essere utilizzati come grilletto per le "new rules" -almeno su base europea e in campi, come quello ambientale e lavoristico in cui le normative si sovrappongono e creano una ragnatela che frena lo sviluppo.
4) Promuovendo una drastica semplificazione delle “regole” come suggerito, ad esempio, da Roger Abramavel e da Luca D’Agnese nel loro ultimo saggio, presentato alla Camera dei deputati il 26 ottobre. Ricordandosi, però, che gran parte delle “regole” sono di competenza delle autonomie locali e, soprattutto, che la soluzione è una sola- una normativa costituzionale come la “sunset legislation” anglosassone (nessuna legge può restare in vita più di 5-7 anni se non approvata di nuovo da chi di competenza). Senza di essa le cinque strategie di Abramavel e D’Agnese rischiano di essere inghiottite da barracuda – esperti.

3 novembre 2010

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