giovedì 18 novembre 2010

L'euro a pezzi e rattoppi Il Velino 17 novembre

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ECO - L'euro a pezzi e rattoppi

Roma, 17 nov (Il Velino) - Come esce l’Unione Monetaria da questa ultima crisi (peraltro ancora in corso)? Giuliano Amato direbbe “con il vestito d’Arlecchino”, citando un suo libro di circa venti anni fa a proposito del bilancio dello Sato. In termini più popolari si può dire che la moneta unica è “a pezzi e a rattoppi”. Ancora non sappiamo come terminerà la vicenda del pericolo d’insolvenza da parte dell’Irlanda, dei programmi d’aiuto dell’Ue e del Fmi non solo per evitare che la Repubblica vada fondo ma anche che il suo malessere contagi Grecia, Spagna e Portogallo. Occorre, infine, tener presente che dalla riunioni internazionali di questi giorni è parso chiaro che a) la cintura di sicurezza di fondi pubblici europei non sarebbe sufficiente a tenere a galla i quattro Paesi (in caso di epidemia e crisi simultanea) e b) non c’è chiarezza tra i Paesi dell’unione monetaria sull’apporto che il capitale privato dovrebbe dare ai “salvataggi” al fine di evitare il fenomeno dell’”azzardo morale” (ossia che si continui a razzolare male). All’inizio degli Anni Novanta, furono molti a prevedere che l’unione monetaria sarebbe potuta finire “a pezzi e rattoppi”. Un saggio su questo tema venne scritto da uno dei maggiori economisti americani, Martin Feldstein, per non ricordare che una delle voci più autorevoli. È antipatico citare se stessi, ma scrissi anche io un saggio di questo tenore su La Rivista di Politica Economica n.1, 1999 e venni per anni tacciato di essere anti-europeo. In effetti, l’unione monetaria è stata creata non per esigenze economiche o perché il grado d’integrazione dei mercati dei beni, dei servizi e dei fattori avesse raggiunto un grado tale da richiedere una moneta unica ma a ragione dell’unificazione tedesca – e del pericolo che il costo venisse posto sulle spalle di europei privi di voce in capitolo.

Avrebbe causato – come è avvenuto – un rallentamento della crescita complessiva(a ragione delle politiche della moneta e di bilancio ad essa associate) e anche squilibri all’interno dell’area. Per esempio, pochi sanno che da quando è nato l’euro, i disavanzi delle partite correnti di Irlanda, Grecia, Portogallo, Spagna e Italia hanno accumulato aumenti pari rispettivamente al 19 per cento, 90, 85, e 13 per cento dei rispettivi Pil mentre le bilancia dei pagamenti di Germania, Paesi Bassi, Finlandia e Francia hanno rispettivamente accumulato saldi attivi pari al 32 per cento, 54,60 e 3 per cento del Pil. Ciò è una conseguenza, in parte, del ristagno della produttività del lavoro (e per occupato e per ora lavorata) dei Paesi con i conti con l’estero in rosso. A sua volta, l’afflusso di capitali essenziale per saldare la bilancia dei pagamenti, ha causato un aumento del credito totale interno, la cui proporzione rispetto al Pil in Irlanda, Grecia e Spagna è raddoppiata, in Portogallo aumentata del 50 per cento in Italia, grazie alla prudenza della nostra banca centrale e degli intermediari finanziari, cresciuta solo del 20 per cento. L’aumento del credito totale interno, infine, ha causato un’inflazione strisciante (anche se “nascosta”) in tutti i settori dei Paesi in deficit e in alcuni di loro (specialmente Spagna) una crescita iperbolica di comparti – come l’immobiliare – a basso rendimento.

Si è verificata, su base regionale, una “grande moderazione apparente” (bassi tassi d’interesse, crescita contenuta ma costante), per utilizzare il lessico di Hyman Minsky, con tutti i germi di crisi ben descritti dall’economista di Chicago. Illusorio pensare che le tre nascenti agenzie di regolazione e controllo risolvano il problema. Senza dubbio occorre pensare, nel breve periodo, a misure collegiali di controllo del credito totale interno nonché a procedure di fallimento finanziario di Stati Sovrani come quelle delineate da Leskek Balcerowicz in un bel libro appena edito dall’Istituto Bruno Leoni. Soprattutto, occorre ripensare le fondamenta dell’unione monetaria ed andare ad un sistema analogo, su base regionale, a quello detto “di Bretton Woods”, rinegoziando le parità centrali delle monete nazionali con l’euro (bloccate a quelle in vigore nel 1989) e prevedendo se del caso aggiustamenti.

(Giuseppe Pennisi) 17 nov 2010 20:17

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