lunedì 11 ottobre 2010

COSA INSEGNA ALLE CANTANTI D'OGGI LA VITA DI JOAN SUTHERLAD Il Foglio 12 ottobre

COSA INSEGNA ALLE CANTANTI D’OGGI LA VITA DI JOAN SUTHERLAND
Giuseppe Pennisi

Negli Anni Sessanta a Roma la chiamavano “La Stupenda”. Era una vera gioia quando- allora il Teatro dell’Opera presentava 20 titoli l’anno – il suo nome compariva nella locandina in uno di quei titoli belcantistici che, prima di lei, nel Novecento, soltanto Maria Callas aveva osato affrontare: I Puritani, La Sonnambula, Beatrice di Tenda ,Norma di Bellini, Lucia di Lammermoor di Donizetti, Semiramide di Rossini. Portava al pubblico italiano anche Haendel (chi può dimenticare la sua Cleopatra in Giulio Cesare in Egitto?) e quel grand-opéra – ad esempio, Les Huguenots di Meyerbeer – di cui nel nostro Paese si era fatta una versione padana , quali La Gioconda di Ponchielli, basata su ruoli strillati con acuti roboanti e forti registri di centri. Correvano non solamente anziani ormai canuti ma anche giovani, allora erano numerosi, che frequentavano il teatro e scoprivano un mondo obliato per circa un secolo (dai tempi, quasi, del melodramma verdiano). Per Bellini cantò anche a Catania il cui teatro ha la migliore acustica della Penisola ,anche se viaggia da una crisi finanziaria ed un’altra.
Nata nel 1926 a Sydney, Joan Sutherland era ancora “La Stupenda” nel 2004 quando, a Spoleto, presiedeva la giuria per selezionare i giovani cantanti da mandare in formazione avanzata al Teatro Lirico Sperimentale. Al Teatro Caio Melisso, dove si tenevano le audizioni, ed all’Hotel dei Duchi, dove si alloggiava, aveva un portamento regale , tanto più imponente su tutti gli altri (componenti della giuria, amministrazione dell’istituzione) quanto più era cordiale e affettuoso. La semplicità delle vere Regine.
Era diventata Koloraturwunder e The incomparabile, pur se, nella natia Australia, aveva debuttato con un concerto di “pezzi” wagneriani per soprano (in Wagner non esistono che poche “arie” nel senso comunemente inteso) e la sua carriera europea era iniziata con il verismo più grand-guignolesco , il ruolo di Giorgetta nel pucciniano Tabarro.
La svolta era avvenuta a Londra, nel 1959, al Covent Garden, grazie a tre italiani ( Gaetano Donizetti, Franco Zeffirelli e Tullio Serafin) con una Lucia da favola. Per trenta anni è stata la Regina assoluta del bel canto; i dal 1963 lavorava quasi esclusivamente con suo marito, il direttore, musicologo e filologo Richard Bonynge, primocorresponsabile delle scelte di una carriera mirata a limitare il suo repertorio al campo dove eccelleva. Un insegnamento che molte cantanti di oggi dovrebbero seguire . Solamente tardi nel suo sviluppo professionale, tornò a ruoli quali che avevano contrassegnato i suoi esordi: nel 1983, sulle soglie dei 60 anni, a San Diego debuttò in Adriana Lecouvreur di Cilea.
L’11 ottobre a Ginevra ha portato il belcanto nel Cielo dei credenti. Bonynge ed il loro figlio Adam le erano vicini. Ha lasciato anche ai non credenti un messaggio di stile e di eccellenza.

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