giovedì 2 settembre 2010

STORIA E GEOGRAFIA DEL “PATTO SOCIALE” E LIMITI DEL FUNZIONAMENTO Il Foglio, 2 settembre

STORIA E GEOGRAFIA DEL “PATTO SOCIALE” E LIMITI DEL FUNZIONAMENTO
Giuseppe Pennisi
Dopo l’intervento di Sergio Marchionne al “meeting” di Comunione e Liberazione, il termine “patto sociale” è tornato nel lessico della politica. Pareva finito nella cassetta degli attrezzi degli Anni 80 e 90, specialmente da quando la crisi iniziata nel 2007 è al centro dell’attenzione della politica, dell’industria e della finanza nonché dei sindacati. E’ possibile che la “rentrée” non duri più dell’”éspace d’un matin” (lo spazio d’un mattino), secondo un detto francese. Di “patto sociale” non si parla nei punti che dovrebbero caratterizzare l’azione del Governo nella seconda parte della legislatura. A ragione delle preoccupazioni sul fronte occupazione – secondo gli ultimi dati Istat un giovane su quattro è senza lavoro – a delle grida dell’opposizione su una “Waterloo sociale”, è utile sapere quelle che potrebbero essere modalità e caratteristiche di un “patto”.
L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Oil), creata nel 1919 ed unica, tra le agenzie specializzate ONU, nei cui organi di governo siedono i rappresentanti non solo degli Stati membri ma anche delle parti sociali, è la migliore fonte d’informazione. E’ stata fondata nell’assunto che senza “social dumping” e con standard simili in materia lavoristica e sociale, si potrebbero evitare cause di conflitti tra Stati; a sua volta, la definizione di regole lavoristiche e sociali internazionali (le “convenzioni internazionali” Oil) presuppone regole interne elaborate tramite specifici “patti”. L’Oil produce, inoltre, analisi comparate di “patti sociali” e dei loro effetti. Dal più recente si ricava, in primo luogo, che i “patti sociali” non sono più di moda come lo erano una volta. Il lavoro sottolinea che negli anni successivi alla secondo guerra mondiale, “patti sociali”, diretti principalmente alla “politica dei prezzi e dei redditi”, sono stati uno strumento importante di politica economica in Europa (molto meno ,però, negli continenti) e che negli ultimi vent’anni del Ventesimo Secolo sono diventati una delle leve (non necessariamente la più importante) che hanno portato all’unione monetaria. Hanno ampliato i loro obiettivi per includere la competitività accanto alla giustizia sociale. Mentre un documento precedente Oil tracciava un’ampia tassonomia dei “patti”, il più fresco si limita ad analizzare i casi di Finlandia, Irlanda, Italia , Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia e Spagna.
Dai due documenti, si possono ricavare alcune indicazioni. In primo luogo, i “patti” possono essere classificati in due vaste categorie: quelli “difensivi” – diretti a tutelare l’esistente (a volte con un occhio rivolto al passato)- e quelli “aggressivi” – diretti, invece, a facilitare l’adattamento d’un’economia e di una società ad un contesto in rapida evoluzione e a far da guida al cambiamento. In Italia, il ciampiano Patto di San Tommaso del 1993 ed il prodiano Accordo di Natale del 1998 sono esempi della prima categoria, mentre il Patto di San Valentino del 1984 Protocollo sul Welfare del 2007 contengono cenni della seconda. Il precursore dei “patti aggressivi” è l’olandese “accordo di Wassenaar” (dal nome della cittadina dove venne siglato) in cui le parti sociali e la coalizione “arcobaleno” (la sinistra e la destra erano al governo, il centro all’opposizione) rivoluzionarono normativa sul lavoro, pensioni e welfare in generale di fronte alla constatazione che per quadrare i conti operando unicamente sull’età legale della pensione (a ragione della più lunga aspettativa di vita) e con ritocchi negli altri capitoli, la si sarebbe dovuta portare a 81 anni.
Un esame dei “patti” più recenti, da un lato, riconferma la differenza tra quelli difensivi e quelli aggressivi e, da un altro, ne tratteggia le modalità di gestazione: a) tripartiti (Irlanda, Italia e Portogallo) in cui il Governo è fortemente coinvolto nella preparazione, firma e monitoraggio del “patto”; b) bipartiti (Olanda , Filandia) in cui il negoziato avviene tra parti sociali ed al più, quando è terminato, il Governo comunica di compiacersi per l’accordo raggiunto; c)misto (Spagna) il cui il Governo opera attivamente ma da dietro le quinte. Il terzo, pare, essere il più efficace specialmente se concentrato su un numero limitato di obiettivi.
In breve, un “patto” snello e grintoso rivolto alla crescita dei redditi e dell’occupazione tramite una maggiori produttività- i tassi d’utilizzazione degli impianti in Italia sono tra i più bassi in Europa – potrebbe essere utile. Occorre, però, evitare i macchinosi riti del passato.

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