lunedì 13 settembre 2010

L'Ue e il nuovo patto di stabilità Ffwebmagazine 13 settembre

E andare al voto sarebbe, anche per questo, una mossa sbagliata
L'Ue e il nuovo patto di stabilità:
l'Italia dovrà giocare le sue carte
di Giuseppe Pennisi Chi in questi giorni chiede elezioni dovrebbe guardare al delicato momento europeo e al ruolo dell’Italia. Non solo la ripresa è fragile e insidiata da un possibile aumento dei tassi d’interesse, proveniente da oltre-Atlantico, che è particolarmente pericoloso per Stati (come il nostro) con un forte debito pubblico in proporzione al Pil, ma è anche in fase di elaborazione un nuovo patto di stabilità. In effetti, più importante della creazione di tre agenzie europee per la vigilanza dei mercati finanziari, dei fondi pensione e delle assicurazioni, è in fase di messa a punto un nuovo “patto di stabilità” . Una bozza avanzata del documento verrà presentata a metà ottobre al Consiglio dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea.
Le riunioni dell’Eurogruppo e dell’Ecofin del 6 e del 7 settembre hanno mostrato che non si tratta unicamente di un lavoro di manutenzione e aggiornamento del “patto” concluso quando entrò in circolazione l’euro, a sua volta modellato su alcuni articoli del Trattato di Maastricht. A 20 anni circa dalla formulazione dei cinque parametri (poi diventati due: indebitamento netto e stock di debito in rapporto al Pil), una revisione sulla base dell’esperienza sarebbe stata comunque necessaria. In effetti, ne venne effettuata una nel marzo 2005 tramite un “protocollo interpretativo” che ne rendeva l’applicazione più flessibile. Ora, dopo i timori di una crisi finanziaria tale da coinvolgere pesantemente i titoli di Stato di vari Stati dell’Eurogruppo (Grecia, Portogallo e Spagna, in primo luogo) non si tratta semplicemente di serrare i freni (tornando alla lettera e allo spirito di una dozzina di anni fa) ma di dare nuovi concetti e nuovi contenuti all’accordo di base dei soci del Club dell’euro.
Le nuova architettura è composta da due nuovi acronimi “Scp” (Stability and Convergence Program- Programma di Stabilità e di Convergenza) e “Nrp” (National Reform Program – Programma Nazionale di Riforme). Il secondo, ossia le riforme, indicherebbe gli strumenti per dare corpo al primo, la stabilità finanziaria e la convergenza economica. La novità procedurale sarebbe l’organizzazioni di sessioni di bilancio parallele negli Stati dell’euro.
È un’innovazione che ha una portata molto più limitata di quanto non si voglia fare apparire: già da anni i principali Stati del gruppo (Francia, Germania, Italia, Spagna) e molti dei minori hanno adottato esercizi di bilancio che più o meno coincidono con l’anno solare e, di conseguenza, la presentazione del bilancio preventivo avviene in autunno e la sessione di bilancio termina verso Natale. Il significato sarebbe maggiore se il nuovo “patto” prevedesse che tutti gli Stati dell’area dell’euro passassero al bilancio “di cassa” (come ha fatto l’Italia) e a classificazioni di bilancio analoghe. Sono traguardi non irrealistici, nell’arco – ad esempio – di cinque anni e tali da fornire le basi ad una politica di bilancio comune da poter giustapporre ad una politica della moneta anche essa comune.

Questi strumenti potrebbero comportare una batteria di indicatori quantitativi che non sostituirebbe gli attuali ma li arricchirebbe. Per quanto si deve auspicare che il nuovo “patto” non tratti solo di deficit annuale e stock di debito pubblico in rapporto al Pil e che vengano introdotti indicatori di economia reale, d’occupazione e di situazione sociale, occorre fare attenzione: l’Ue ha avuto la tendenza ad ampliare la gamma degli indicatori tanto da rendere le politiche ingestibili o, peggio ancora, di invitare implicitamente a truccare i numeri. Il destino dei “protocolli di Lisbona” che nel marzo 2000 avrebbero dovuto rendere l’Ue l’area più dinamica del mondo dovrebbe essere un monito a non strafare, ma anzi a tenersi il più “essenziali” possibile.

Un’Italia in campagna elettorale non potrebbe avere che un ruolo da comprimario, e non certo da protagonista, nel “grande negoziato” dei prossimi mesi. Con conseguenze negative per il futuro.
13 settembre 2010

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