lunedì 28 giugno 2010

REGIONI, PACCHIA FINITA Il Tepo 28 giugno

REGIONI, PACCHIA FINITA
Giuseppe Pennisi
La crescita è stata l’argomento principale del G20 appena tenutosi a Toronto. Il 27 giugno, Giuliano Amato si è chiesto, sul principale quotidiano economico italiano,se e come l’Europa può risvegliarsi dal suo letargo. Le stime diramate il 25 giugno dai 20 maggiori istituti econometrici sono eloquenti: crescita sostenuta negli Usa ( il 3,3% nel 2010 ed il 3% nel 2011) e in Paesi emergenti come India e Cina (rispettivamente 7,8% e 8% la prima e 9,9% e 8,2% la seconda), ma piatta nell’area dell’euro (1,1% e 1,3% nei due anni presi in considerazione). Queste stime – mi è stato precisato dall’istituto tedesco, DWI – non incorporano ancora gli effetti delle manovre coordinate di riduzione della spesa pubblica nell’Eurozona e nel Regno Unito. Come illustra la tabella, le elaborazioni preliminari effettuata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e trasmesse alle competenti Commissioni parlamentari svelano che le misure all’esame delle Camere comportano, in Italia sino al 2014, una contrazione dell’occupazione e, quindi, un aumento di coloro che cercheranno lavoro senza trovarlo . Implicano anche una riduzione di salari medi e di consumi. Crescerebbero le esportazioni ma diminuirebbero le importazioni a causa della stagnazione, ove non riduzione, dei consumi. Un quadro, quindi, preoccupante che impone chiedersi se non ci siamo alternative per rientrare dal debito e dall’indebitamento senza una riduzione marcata del tenore di vita per gran parte degli italiani. In altri termini, mantenendo i saldi invariati (pure in quanto concordati nell’ambito dell’Eurozona e diventati l’elemento a cui più guardano i mercati), è fattibile modificare in parte i contenuti specifici della manovra per limitarne gli effetti negativi sulla crescita – e soprattutto per evitare che alla recessione del 2009 ne segua un’altra.
A mio avviso, si deve valutare attentamente se spostare l’enfasi della manovra dal contenimento dei salari nel pubblico impiego (specialmente ai livelli meno elevati – ossia sino a dirigenti di seconda fascia inclusi) alle restrizioni di una voce di spesa corrente che ha avuto una forte dinamica di crescita: le spese per consumi intermedi delle pubbliche amministrazioni. Su si esse cadde la scure all’inizio degli Anni Novanta, nell’assunto che Tangentopoli avesse mostrato come lì si annidassero sprechi , e pure grasso. Allora, gli acquisti di beni e servizi da parte della Pa erano attorno all’8,5% della spesa pubblica totale(includendo Regioni, Province e Comuni); ora toccano il 18.Più eloquenti, le cifre assolute: nel 2000 i “consumi intermedi” di tutte le amministrazioni (centrali e locali) toccavano 80 miliardi di euro , oggi sono 120 miliardi di euro e se la tendenza non viene arrestata, si arriverà a 145 miliardi di euro nel 2013.
Non è forse questa la voce su cui operare? Oltre tutto, poco si sa dei contenuti effettivi del comparto e di cosa ne abbia causato l’escalation nell’ultimo decennio (quasi in parallelo con il trasferimento di competenze dall’amministrazione centrale dello Stato a Regioni ed enti locali). E’ probabile che la sua riduzione porti maggiore efficienza ed abbia effetti contenuti sull’occupazione e sui redditi. Aprendo un volano per crescere.
E’ probabile che una riduzione di questa voce farebbe alzare barricate agli enti locali. Dovrebbero allora spiegarne la dinamica e dimostrare che sono state adottate le misure necessarie per renderla efficiente ed efficace.

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