domenica 9 maggio 2010

L’ITALIA E LA NUOVA STRATEGIA EUROPEA PER LA CRESCITA E L’OCCUPAZIONE in Synthesis maggio

L’ITALIA E LA NUOVA STRATEGIA EUROPEA PER LA CRESCITA E L’OCCUPAZIONE
Giuseppe Pennisi
A dieci anni dal varo della “strategia di Lisbona”, che aveva l’obiettivo di fare diventare il Vecchio Continente l’area più dinamica dell’economia internazionale ed all'indomani della più lunga e profonda recessione nella storia dell'UE, la Commissione Europea ha presentato il documento Europa 2020 che verosimilmente verrà esaminato a fine marzo dai Capi di Stato e di Governo ed unitamente ai programmi nazionali varato dal Consiglio Europeo del prossimo giugno. Si tratta di un documento snello di 30 pagine a stampa fitta- un merito importante data la nota predilezione di Bruxelles per volumi ponderosi.
La crisi economica – afferma il documento - ha messo a nudo le gravi carenze di un'economia già resa fragile dalla globalizzazione, dal depauperamento delle risorse e dall'invecchiamento demografico. La Commissione dichiara che questi ostacoli possono essere superati, se l'Europa decide di optare per un mercato “più verde e innovativo”. La strategia individua le seguenti priorità: sostenere le industrie a basse emissioni di CO2, investire nello sviluppo di nuovi prodotti, promuovere l'economia digitale e modernizzare l'istruzione e la formazione. Propone inoltre cinque obiettivi quantitativi, compreso l'innalzamento del tasso di occupazione ad almeno il 75% dall'attuale 69% e l'aumento della spesa per ricerca e sviluppo al 3% del prodotto interno lordo. Attualmente quest'ultima rappresenta soltanto il 2% del PIL, un livello di gran lunga inferiore a quello di Usa e Giappone. La nuova strategia riconferma gli ambiziosi obiettivi dell'UE in materia di cambiamenti climatici (20/20/20) e propone di ridurre il tasso di povertà del 25% per aiutare circa 20 milioni di persone ad uscire dall'indigenza. Nel campo dell'istruzione, la Commissione vuole portare il tasso di abbandono scolastico al di sotto del 10% (dall'attuale 15%) e accrescere in maniera significativa (dal 31% al 40%) la percentuale dei giovani trentenni con un'istruzione universitaria.
Il documento propone che i governi concordino obiettivi nazionali che tengano conto delle condizioni di ciascun paese, aiutando nel contempo l'UE nel suo insieme a raggiungere i suoi traguardi. La Commissione controllerà i progressi compiuti e, in caso di "risposta inadeguata", formulerà un monito.
L'UE già sorveglia le finanze pubbliche per evitare squilibri tali da mettere in pericolo l'area dell'euro. La nuova strategia va tuttavia oltre e affronta anche altri problemi che potrebbero minare la competitività dell'UE.
Inoltre, individua sette iniziative prioritarie per stimolare la crescita e l'occupazione. Tra queste figurano i programmi per migliorare le condizioni e l'accesso ai finanziamenti nel settore della R&S, l'introduzione in tempi rapidi dell'Internet ad alta velocità e il maggiore ricorso alle energie rinnovabili.
E’ utile confrontare il documento ”Europa 2020” con i “Protocolli di Lisbona” di dieci anni fa e porre l’accento sul ruolo che ha avuto l’Italia nella sua formulazione (a fine gennaio il Ministro per le Politiche Comunitarie ha inviato una nota dettagliata a Bruxelles).
In primo luogo, gli obiettivi sono meno ambiziosi: l’esperienza ha insegnato a non tentate volare troppo in alto se si hanno il corpo e le alti di un calabrone. Già nel 2005, il “rapporto Kok” aveva messo a nudo il vero e proprio “incubo burocratico” che era diventato la “strategia di Lisbona” con oltre 40 parametri (e decine di indicatori da monitorare); da allora, la procedura era stata semplificata anche seguendo il PICO (Programma per l’Innovazione, la Competitività e l’Occupazione) presentato dall’Italia nell’autunno 2005. “Europa 2020” si pone più come uno metodo per individuare strumenti che per lanciare obiettivi. Tenendo conto che l’enfasi sull’”economia verde! E sul 20/20/20 sembra più una concessione alla moda principalmente da parte degli “obamiani” europei , la parte più interessante sta nel rilievo al capitale umano ed al capitale sociale , ossia ai “traguardi” (ancora una volta strumenti più che obiettivi) in materia di istruzione, formazione, occupazione e riduzione dell’area di povertà. L’enfasi su istruzione, formazione, ed equità erano punti centrali del documento italiano di fine gennaio.
In secondo luogo, pure il sistema di governance , con un monitoraggio “leggero” da parte delle autorità europee e coordinamento da parte dei Governi nazionali, rispecchia la (non buona esperienza) effettuata con il macchinoso sistema architettato a Lisbona nel marzo 2000 e richieste specifiche da parte dell’Italia (e di altri Stati membri).
In terzo luogo, però, il documento non sembra tenere adeguatamente conto di una caratteristica e dell’Italia e di molti altri Stati dell’UE, specialmente dei nei-comunitari: una struttura di produzione basata su piccole e medie imprese. Auguriamoci che tra marzo e giugno venga rivisto in particolare su questo punto.

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