lunedì 19 aprile 2010

Opera, a S. Cecilia il doppio volto della Firenze rinascimentale Il Velino 19 aprile

CLT - Opera, a S. Cecilia il doppio volto della Firenze rinascimentale


Roma, 19 apr (Il Velino) - “Eine florentinische Tragödie” (“Una tragedia fiorentina”), del compositore austriaco Alexander Zemlinsky (1871-1942), è un atto unico breve (50 minuti) che richiede non solo un grande organico, ma anche tre grandi voci e tratta con estrema crudeltà di adulterio, sesso, tradimento e omicidio in un quadro intriso di decadentismo. “Gianni Schicchi” di Giacomo Puccini (1858-1924) è un’opera comica, quasi polifonica data la molteplicità delle voci (14 solisti), di durata analoga e densa di ironia su vari aspetti della vita, dall’imbroglio, alla cupidigia, all’amore. A una lettura superficiale poteva sembrare un’idea ardita accostare nella stessa serata questi due splendidi atti unici eseguiti in forma di concerto, entrambi ambientati a Firenze. Il tentativo lo ha voluto realizzare a Roma l’Accademia nazionale di Santa Cecilia. Già era successo alla Scala cinque anni fa, mentre nel 1998, a Firenze l’atto comico con cui Puccini conclude il Trittico era stato accoppiato con un altro lavoro di Zemlinsky, “Der Zwerg” (“Il nano”) crudele quanto “Eine florentinische Tragödie”, se non di più. Tuttavia tra i due lavori ci sono molti nessi. Quello di Puccini è quasi coetaneo a quello di Zemlinsky (entrambi realizzati intorno al 1917); utilizzano sia l’uno che l’altro un grande organico orchestrale (quello dell’austriaco è quasi il doppio di quello del lucchese); si svolgono nella Firenze tra Medio Evo e Rinascimento; hanno libretti di grande pregio letterario (“Eine florentinische Tragödie” è su un testo di Oscar Wilde e “Gianni Schicchi” su uno di Gioacchino Forzano). Infine, ma si tratta di dettagli, Puccini aveva pensato di mettere in musica “Eine florentinische Tragödie” in traduzione italiana (includendolo in quello che sarebbe diventato Il Trittico) ma ci rinunciò per vari motivi. Il lavoro di Wilde venne tuttavia messo in musica, in italiano, da Mario Mariotti, premiato in un concorso per giovani compositori e rappresentato nella stagione del Teatro dell’Opera del 1914.

Le vicende biografiche di Zemlinsky sono poco conosciute. Di Mariotti, addirittura, sembra essersi persa ogni traccia. “Alexander Zemlinsky – scriveva Arnold Schömberg nel 1949 - è colui al quale sono debitore di quasi tutto quello che so di tecnica e di problemi del comporre. Ho sempre fermamente creduto che sia stato un grande compositore e ne sono convintissimo ancora oggi: forse il suo tempo verrà prima che ce lo aspettiamo”. Zemlinsky, suo cognato e maestro, era morto sette anni prima poverissimo a Larchmont, vicino a New York, dopo aver tentato disperatamente di affermarsi negli Usa. Il suo lavoro più complesso, “Köning Kandaules” (“Il re Kandaules”), da un soggetto di André Gide venne respinto dal Metropolitan Opera in quanto ritenuto eccessivamente scabroso. D’altronde, anche un suo estimatore come Theodor W. Adorno, considerava “ineseguibili a causa del loro soggetto” i suoi lavori per la scena. E così, mentre i suoi allievi – oltre a Schömberg, Webern, Korngold – mietevano allori e la prima donna di cui si era innamorato, Alma, sposava Gustav Mahler, Zemlinsky faceva il professore di composizione e il direttore d’orchestra, spesso in teatri secondari. Solo dal 1980, quando “Der Zwerg” e “Eine florentinische Tragödie” furono messe in scena dall’Opera di Amburgo, Zemlinsky è stato riconosciuto tra i maggiori autori del teatro musicale della prima metà del Novecento. I suoi drammi in musica sono brevi e molto intensi, in uno stile eclettico, a cavallo tra XIX e XX secolo e hanno successo soprattutto tra i giovani. Per questo motivo negli ultimi 30 anni vengono rappresentati frequentemente non solo in Germania e in Austria ma anche in quell’America che all’esule ebreo aveva sbattuto la porta in faccia.

L’Accademia di Santa Cecilia ha fatto, senza dubbio, un grande sforzo produttivo, affidando i due lavori alla bacchetta di Vladimir Jurowski – uno dei pochi direttori d’orchestra, con James Conlon, in grado di dare la “tinta” giusta a Zemlinsky e anche di trovare il brio sardonico e toscano di Puccini. I lavori sono stati presentati più in mise en éspace (forma semi-scenica con recitazione ma senza scene e costumi) e con due cast differenti. Su una pedana dietro l’orchestra , Nikolai Schukoff, Sergj Leiferkus e Aline Coote in “Eine florentinische Tragödie”. In un gioco di sedie di fronte all’orchestra, Juan Pons, Adrìane Kucerova, Sara Mingardo, Saimir Pirgu, Luigi Roni, Gregory Bonfatti, Vittorio Prato, Rosanna Savoia, Anna Maria Chiuri, Giulio Mastronotaro, Marta Pacifici, Marcovalerio Marletta, Massimo, Simeoli , Andrea D’Amelio e Gian Paolo Fiocchi in “Gianni Schicchi”. Due cast di livello che si sono meritati caldi applausi.

(Hans Sachs) 19 apr 2010 12:07

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