giovedì 8 aprile 2010

L’uovo di Pasqua greco: chi paga se si rompe Il Velino 8 aprile

ECO - L’uovo di Pasqua greco: chi paga se si rompe

Roma, 8 apr (Il Velino) - C’è davvero da essere inquieti se il Venerdì Santo, a mercati chiusi, il Presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet parla in toni rassicuranti della “credibilità” del piano di riassetto finanziario della Grecia”, tale “da rassicurare tutte le piazze” e il Sabato Santo, un rapporto del Fondo monetario internazionale, tratteggia scenari in uno dei quali si delinea l’insolvenza del debito sovrano del paese ellenico. Ipotizzando che la Grecia sia in grado di fare fronte alle scadenze imminenti (anche a ragione dell’accordo raggiunto il 25 marzo in seno al Consiglio Europeo), da giugno alla fine dell’anno, Atene dovrà rastrellare l’equivalente di 32-37 miliardi di euro per interessi e rifinanziamento delle rate di ammortamento. Dato che, sul fronte interno, c’è un’opposizione fortissima alle misure di riassetto di bilancio (specialmente verso quelle in materia di stipendi nel pubblico impiego e di revisione del sistema previdenziale), la stessa agenzia greca per la gestione del debito estero non esclude un default: documenti interni, redatti dopo l’intesa europea dello scorso marzo, stimano la probabilità al 50 per cento. Ciò è in linea con una nota interna di Moody’s: è particolarmente a rischio non solo la posizione sull’estero della Banca nazionale, ma anche quella di istituti di credito pubblici o semi-pubblici (Ergasias, Alpha, Piraeus, Emporiki). Non è azzardato tracciare un parallelo con la situazione della Corea del Sud nel 1996, quando il default venne innescato dalle banche a partecipazione statale e contagiò il resto del sistema. Occorre, quindi, chiedersi: chi paga? Su chi peseranno i costi più gravi se ciò avvenisse?

Paradossalmente, i costi saranno pesanti su alcune categorie di cittadini greci (dipendenti a reddito fisso, pensionati, classi di età prossime ad andare a riposo, precari con contratti a termine e simili) poiché il default, si veda il recente caso dell’Argentina, è, di solito, grimaldello per una maggiore austerità di bilancio che comporta anche un aumento della disoccupazione. Meno pesanti di quel che si possa immaginare i costi sulla Grecia in quanto entità economica: un’analisi Fmi esamina gli effetti di 257 default di debito sovrano dal 1824 al 2004 (di cui 74 tra il 1981 ed 1990): l’approvvigionarsi di valuta diventa ovviamente più caro e ne soffre la crescita (in media l’incremento del Pil viene frenato di circa un punto percentuale), ma mediamente entro 12-18 mesi ci si rimette in riga (se non ci si comporta da scapestrati, come hanno fatto di recente gli argentini). Il costo “politico” sul governo in carica è, invece, alto. Tanto lo studio Fmi quanto un’analisi della Bank of England documentano che nel 50 per cento dei casi più recenti di default (nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento non esistevano meccanismi istituzionali all’uopo), l’esecutivo è cambiato entro 18 mesi dall’insolvenza (il dato non tiene conto di scadenze naturali di legislatura). Il capo del governo spesso esce dalla scena anche più rapidamente, per passare il testimone a “tecnici” (sovente in carica per una breve durata).

Il costo finanziario per l’Ue (e più specificatamente per l’eurozona) potrebbe essere consistente se il programma definito al Consiglio europeo il 25 marzo scatta e vengono effettuate erogazioni per sostenere la Grecia, ma, ciò nonostante, si verificasse il default. Potrebbe ripetersi quanto avvenne nel caso della crisi argentina del 1999-2002. Rimasti scottati con i tango bonds, saranno rari i risparmiatori italiani (ma non solo) che cederanno alle lusinghe di eventuali kàlamantianos bonds (dal nome della danza nazionale greca). Ne soffrirà invece l’unione monetaria in particolare, non soltanto perché si accentueranno le tensioni nel suo seno. Uno dei “padri” dell’economia tedesca, Joachin Starbatty, ora professore “emerito” all’università di Tubinga ha pubblicato, su 120 quotidiani nazionali e internazionali, un appello affinché Berlino lasci l’attuale eurozona per costruirne un’altra “con gli Stati che ne sono all’altezza”. L’Italia, fa capire Starbatty, non è tra questi. Grazie al cielo, Starbatty è “emerito” e, come tale, ha autorevolezza ma non voce in capitolo. La situazione, però, è tale che rafforza Via Venti Settembre nell’intenzione di tenere la barra dritta mentre stanno iniziando i prolegomeni per la preparazione del bilancio e della Finanziaria 2011.

(Giuseppe Pennisi) 8 apr 2010 14:11

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