mercoledì 10 marzo 2010

LE RAGIONI (POCO NOBILI) DI CHI VUOLE IL FONDO MONETARIO EUROPEO. Il Foglio 11 marzo

LE RAGIONI (POCO NOBILI) DI CHI VUOLE IL FONDO MONETARIO EUROPEO
Giuseppe Pennisi
Verosimilmente, la proposta (per ora appena abbozzata) di creare un Fondo monetario europeo (Fme) non andrà lontano. Sono state triplicate le risorse del Fondo monetario internazionale (Fmi) per interventi di soccorso ai Paesi in crisi; il Fme pare una duplicazione non solo inutile ma anche dannosa poiché darebbe la stura all’istituzione di un Fondo monetario asiatico, Fma, (già nell’aria) e a nuovi protezionismi. Invece di essere un’indicazione di una più stretta solidarietà e coesione europea, il Fme potrebbe essere letto come un segnale di debolezza: l’unione monetaria avrebbe paratie meno robuste degli accordi europei di cambio (in gergo, lo Sme) degli Anni 70 ed 80. In effetti, anche se l’idea pare origini al Ministero delle Finanze tedesco, un economista polacco, Marek Dabrowski, nell’ultimo numero del periodico Economic System , dice a tutto tondo che l’Ue e l’unione monetaria hanno mostrato di non avere “la capacità” di rispondere in modo unitario alla crisi; le nazionalizzazioni che ne sono derivate minacciano il funzionamento del mercato unico. Da questa ragione nobile, tuttavia, Dabrowski non deduce la desiderabilità di un Fme; ma di dare corpo alla nascente architettura europea di regolazione e vigilanza finanziaria.
In effetti, più importanti di queste determinanti paiono essercene altre di cui si parla molto meno. L’Ue sa di avere una parte di responsabilità nel pasticcio in cui oggi si trova la Grecia e vuole mostrare di tendere una mano ad Atene. Pur se a Bruxelles si è pienamente consapevoli che anche ove salpasse, il Fme richiederebbe almeno un anno e mezzo- tra stesura del trattato, negoziato e procedure di ratifica. Arriverebbe troppo tardi per aiutare la Grecia , che nel frattempo o affonderebbe o si salverebbe con i mezzi propri, quelli del Fmi e quelli della cooperazione “ordinaria” nell’ambito del Sistema europeo di banche centrali (Sebc). Nel contempo, l’idea del Fme serve a fare” ammoina” e a non ricordare fatti che si vogliono coprire con una densa coltre di oblio.
Nelle cronache ufficiali, la Grecia ha taroccato i conti,prima, per entrare nell’euro (scelta fatta per orgoglio nazionale memore dell’Atene di Pericle) e, poi, per restarci. Ma all’Ue ed alla Bce nessuno lo sapeva? Ed i conti erano stati manipolati in malafede oppure a ragione di una strumentazione carente? L’Eurostat ha espresso riserve sui dati della Grecia, la cui ammissione all’euro è stata fortemente perorata da Romano Prodi (lo considerava uno dei suoi “sogni”). A Bruxelles era allora in corso una complicata vicenda che avrebbe portato, da un lato, alla decapitazione del vertice Eurostat nel 2003, e dall’altro, alla condanna (cinque anni più tardi) del Presidente della Commissione Europea (ossia Prodi) da parte della Corte di Giustizia Europea (Sentenza dell’8 luglio 2008), nonché al risarcimento dei danni subiti dai dirigenti “non prodiani”. Anche il servizio studi della Bce, specialmente dopo il caso giudiziario ricordato (ignorato dalla stampa italiana) sapeva che i conti greci erano inaffidabili. Non necessariamente (è questo il punto) solo a causa della malafede del Governo conservatore in carica ma anche a ragione dell’inadeguatezza della strumentazione tecnica. Un documento di due economisti greci, Dimitrios Koumparoulis e Apostolis Philippopoulos, ancora inedito (ma disponibile a Bruxelles e a Francoforte ed agli abbonati ai lavori del CESifo, centro studi internazionale), è al riguardo rivelatore. Permette di esaminare il modello econometrico sviluppato dalla Banca nazionale greca ed utilizzato per forgiare le politiche macro-economiche e di bilancio del Paese. E’ nato relativamente tardi, nel 1975. I migliori econometrici grechi avevano lasciato la Penisola dopo il colpo di Stato del 1967; la loro star, Dimitri Koulorianos, dopo un periodo in Banca Mondiale, diventò consigliere economico del Governo etiope (ai tempi di Menghistu) e, rientrato in Patria alla fine degli Anni 70, si diede alla politica. La prima versione del modello era fortemente keynesiana – l’ispiratore ne era Andreas Papandreu- e strizzava un occhio al deficit financing. Considerato carente dall’Eurostat, è stato migliorato dal 1991 ma è ancora da considerarsi poco avanzato rispetto alla media di quelli dell’area dell’euro: ad esempio, rileva una nota interna Bce, fornisce previsioni a 12-24 mesi, non a 36 mesi (come nel Broad Macroeconomic Projection Excerisce, BMPE, utilizzato dal Sebc), ha appena 17 “equazioni di comportamento” (ossia relazioni matematiche per spiegare nessi tra fenomeni economici) rispetto alle 100 circa di modelli come quelli della Banca d’Italia o della Banque de France . Buon senso avrebbe richiesto di affrontare il problema, mettendo in atto un programma di supporto tecnico alla Grecia. Si è preferito seguire il detto “Il silenzio è d’oro”

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