giovedì 4 marzo 2010

i mozartiani viaggi di “Idomeneo” al Comunale di Bologna, Il Velino 4 marzo

CLT - Lirica, i mozartiani viaggi di “Idomeneo” al Comunale di Bologna

Lirica, i mozartiani viaggi di “Idomeneo” al Comunale di Bologna
Roma, 4 mar (Velino) - “Idomeneo, re di Creta” è una delle opere più importanti di Wolfgang A. Mozart che la compose nel 1780 e una delle più amate dal pubblico. La produzione vista e ascoltata al Comunale di Bologna è frutto della collaborazione di numerosi teatri (Torino, Modena, Reggio Emilia, Ferrara e Ravenna, oltre a quello del capoluogo emiliano) a ragione dei mezzi che l’allestimento richiede. E’, quindi, uno spettacolo costruito per viaggiare, almeno nell’allestimento scenico: esempio da seguire, particolarmente in tempi, come gli attuali, di vacche magre. Il libretto, apparentemente una parabola edificante, del modesto abate Gian Battista Varesco è di stampo metastasiano. Quindi, già rétro quando venne scritto. Di ritorno dalla guerra di Troia (i viaggi non mancano mai), Idomeneo, re di Creta, nel corso di una tempesta marina, promette a Nettuno di sacrificare la prima persona che incontrerà all’approdo. Questi è il principe reggente, l’avvenente Idamante, suo figlio, conteso tra la troiana Ilia e la greca Elettra ambedue vogliose di portarlo sotto le lenzuola prima e all’altare poi (le donne mozartiane, va ricordato, sono tutt’altro che fragili). Per amore paterno, il re non mantiene la promessa. Nettuno invia un mostro che minaccia di divorare tutti i cretesi. Idamante, per amor di patria, lo uccide, ma i sacerdoti reclamano il sacrificio. Il giovane principe è pronto a farsi sgozzare. Mentre Idomeneo sta per farlo, Ilia si sostituisce a Idamante e chiede di essere immolata al posto suo. Nettuno perdona tutti; Idamante ascende al trono coniugato a Ilia; Elettra si dispera in isterica follia, mentre si celebra il nuovo re. Con buona pace per l’abate Varesco, la drammaturgia è molto carente, tanto che la regia deve sforzarsi per far sì che il lavoro regga la prova della scena.

Come riuscì da questo pasticcio, un 25enne (o giù di lì) come Mozart, in procinto di lasciare un comodo impiego a Salisburgo per una dura scoperta del mondo, a tirare fuori un capolavoro sommo? Neanche nella più nota trilogia dapontiana (“Nozze di Figaro”, “Don Giovanni”, “Così fan tutte”), il compositore austriaco ritrovò la compattezza musicale di “Idomeneo”. Mai la musica per teatro di Mozart, neanche nelle ultime opere (“Il flauto magico” e “La clemenza di Tito”), ebbe un’orchestrazione, al tempo stesso, così complessa e smagliante, nonché parti vocali così innovative, quali il grande quartetto del terzo atto, in cui si fondono un recitativo secco, un duetto, un recitativo accompagnato e un concertato a quattro voci, oppure l’ultima aria di Elettra in cui si rompe la consueta divisione in numeri. Per un quartetto analogo a quello del terzo atto di “Idomeneo”. si sarebbe dovuto aspettare il “Rigoletto” circa 70 anni più tardi e per un’aria simile si deve giungere quasi all’ultimo Giuseppe Verdi o a Richard Strauss. Ci si chiede spesso cosa abbia portato Mozart a una vetta così alta partendo da un libretto convenzionale di “opera seria”, pur se fortemente marcato dalla rivoluzione gluckiana allora in corso e dai canoni della “tragédie lyrique”. Al giovane adulto, che componeva “Idomeneo”, stava stretta la cappa protettiva del padre. Aveva, inoltre, una vita sentimental-erotica complicata ed era già in cammino verso la massoneria. In quel lavoro, quindi, riversò e sublimò le proprie tensioni interiori, sia quelle nevrotiche sia quelle politiche. Nella partitura abbiamo le nevrosi dei rapporti con il padre-padrone Leopoldo nell’interazione tra Idomeneo ed Idamante; le nevrosi delle relazioni anche sessuali con le donne nel triangolo Idamante-Ilia-Elettra (Mozart – rivela l’epistolario – aveva sotto le lenzuola gusti non convenzionali, al limite dall’essere considerati devianti); le nevrosi del nesso con Dio (il burrascoso rapporto tra Idomeneo e Nettuno). In “Idomeneo”, dette ai propri conflitti interiori uno spessore universale e atemporale, tanto che si sono visti allestimenti dell’opera con scene e costumi di epoca bonapartiana e anche da secondo dopoguerra.

Sotto il profilo politico, il 24enne Mozart aveva già le idee chiare. Non un progressista, come per decenni ha scritto una critica impostata ideologicamente e poco documentata sotto il profilo musicale e storico. Neppure, nel contesto dell’epoca, un “neocon” illuminista. Era un conservatore bello e buono che adorava l’armonia della monarchia assoluta (non per nulla si iscrisse alla loggia più vicina alla Corte), aveva pregiudizi vagamente razzisti (i “turchi” del “Ratto dal Serraglio”, Monastatos de “Il flauto magico”), avvertiva ma non approvava la forza delle donne (forse anche a ragione delle sue preferenze di letto) e in un solo lavoro (“Le nozze di Figaro”) espresse un punto di vista modernizzatore, con la “doppia rivoluzione” delle donne e della servitù, a ragione, però, più del libretto e della commedia da cui è tratto che della musica. Nella coproduzione in giro per sei teatri italiani (a cui verosimilmente altri si accoderanno la prossima stagione), l’“opera seria” viene presentata in una versione non filologica: si segue essenzialmente la prima edizione, approntata per Monaco di Baviera dove andò in scena nel 1781, ma viene eliminato (anche per ragioni di economia) il lungo balletto iniziale finale e vengono incorporati alcuni passaggi della edizione predisposta dalla stesso Mozart nel 1786 per Vienna, dove , a quel che si sa, non andò mai in scena. Il ruolo di Idamante originariamente scritto per un castrato, è interpretato da un mezzo soprano. Nella edizione per Vienna venne riscritto per un tenore leggero e inclusa, per chi cantava il ruolo, un’aria con solo accompagnamento di violino che è un vero splendore (ovviamente non recepita nella coproduzione). Lo spettacolo dura complessivamente circa tre ore e mezza con i due intervalli. Nel teatro in musica di Mozart, “Idomeneo” ha avuto un lungo periodo di oblio. Dopo una tornata di rappresentazioni a Monaco nel 1781 e la revisione eseguita per Vienna, l’opera di fatto sparì dai repertori. Nell’Ottocento, veniva rappresentata solo in Germania e tradotta in tedesco dalla versione originale in italiano. Fu quel genio di Richard Strauss a riproporla nel Novecento con una sua propria ri-orchestrazione. Soltanto negli ultimi quindici anni, e in particolare dal Duemila, è entrata tra i lavori mozartiani rappresentati con frequenza nei teatri italiani. Eppure da molti viene considerata il capolavoro assoluto di Mozart per il teatro: l’opera in cui più precorre i tempi sotto il profilo musicale e nella quale svela meglio, al tempo stesso, il proprio credo politico e le sue nevrosi più intime.

Secondo l’intervista nel programma di sala, Davide Livermore (regista) porrebbe l’accento sugli aspetti “politici”: la centralità della persona e del perseguimento della felicità. Fortunatamente ciò resta un’intenzione, mentre sulla scena (realizzata da Santi Centineo con i costumi di Giusi Giustino) si svolge un dramma atemporale di sentimenti, eros e interazione con sé stessi. La scena è stilizzata con il mare sempre presente, l’attrezzeria è composta unicamente da un grande letto a due piazze e una decapottabile americana anni ‘50 in malo arnese. Il primo è il talamo che Ilia sogna per sé ed Idamante ; il secondo l’auto con cui Elettra si trascina nell’arcipelago greco e in cui nel secondo atto toglie la verginità al giovane principe. Nettuno è lo specchio freudiano di Idomeneo, di cui il re riesce a liberarsi solo quando dopo le traversie dei suoi cari acquista contezza della sofferenza. E’ una lettura che regge drammaturgicamente molto meglio di quella fortemente politica che nei mesi scorsi è partita da Aix en Provence per raggiungere Brema, Vienna , Lussemburgo e vari teatri francesi, un altro “Idomeneo” viaggiante. La parte musicale è saldamente in mano a due trentenni, di età, quindi, adatta a comprendere i travagli di Mozart quando componeva l’opera. La direzione musicale è affidata a Michele Mariotti che tira fuori dall’orchestra tutto lo smalto concepito dall’autore. Il protagonista è Francesco Meli che, iniziata una carriera da tenore di coloratura, sta ora affrontando ruoli in cui deve coniugare agilità con il registro di centro e toni bruniti quasi da bari-tenore. Grande successo anche per Angeles Blancas Gulin (Elettra) sempre avvenente anche in un costume che sembrava quello di Rita Hayworth in Gilda. Buona la prova di Giuseppina Bridelli (Idamante) e di Enea Scala (Arbace). Gli altri, tutti della scuola del teatro, mostrano gran potenziale.

(Hans Sachs) 4 mar 2010

Nessun commento: