martedì 23 marzo 2010

I dimenticati di Kos: Nel paese c'è tanta voglia di serenità e di memoria condivisa Il Velino 22 marzo

di Giuseppe Pennisi

Perché tornare oggi su un tema , anzi su un libro prodotto da una piccola casa editrice, di cui il nostro web magazine si è interessato già lo scorso novembre? Perché per conoscere i contorni di una foresta occorre studiare le foglie degli alberi, siamo negli ultimi giorni della campagna elettorale più avvelenata dal giorno in cui è stata proclamata l’Unità d’Italia ed un albero (dei tanti) afferma, ad alta voce, che il paese non vuole veleni ma condivisione di amore.

L’albero riguarda i “dimenticati di Kos”. Chi erano? La loro vicenda la ricostruisce Pietro Giovanni Liuzzi (dopo lungo lavoro d’archivio ed incontri con i pochi testimoni ancora vivi sia in Italia sia nell’Egeo (Kos- Una tragedia dimenticata. Settembre 1943-Maggio 1945, Edit@ pp. 240 € 12). Occupare il Dodecaneso è sempre stata la mira di Churchill; da tempo, egli aveva ordinato l’approntamento di un piano operativo per l’invasione. A ragione del marasma creatosi nelle forze armate italiane dopo la firma dell’armistizio del 8 settembre 1943, Churchill ritenne giunto il momento di agire e dette il via all’operazione “Accolade” il cui scopo era d’utilizzare l’aeroporto di Kos al fine di accorciare i tempi di volo degli aerei della Raf, dislocati al Cairo e a Cipro, per colpire obiettivi nei Balcani e dare copertura aerea alle unità navali nell’Egeo.


I movimenti britannici furono rilevati dalla sorveglianza aerea tedesca che attaccò Kos con inusitata sorpresa , nella notte tra il 2 ed il 3 ottobre. Sostenute dall’intensa attività della Luftwaffe, dotate di equipaggiamento ed armamento moderno, i tedeschi ebbero il sopravvento sulle scollegate azioni difensive italiane e britanniche. Dopo 38 ore di combattimento, il comando italiano dichiarava la resa alle 14 del giorno 4 ottobre 1943. Mentre gran parte dei britannici raggiunse, con mezzi di fortuna, la Turchia ed altri, catturati, vennero trasferiti in Grecia continentale e trattati da prigionieri di guerra secondo quanto previsto dalla Convenzione di Ginevra. Tremila italiani, dei quattromila presenti nell’isola, furono ammassati nel Castello di Kos dove subirono, per venti mesi, malversazioni.

Gli ufficiali italiani erano 148: sette passarono con i tedeschi, ventotto riuscirono a fuggire in Turchia, dieci ricoverati in ospedale e trasferiti in Germania, 103 fucilati. 66 corpi vennero ritrovati in 8 fosse comuni ma solo 42 furono riconosciuti. Gli altri 37 corpi, da allora, non furono mai cercati sebbene si conoscano i possibili luoghi delle fucilazioni. Nel dopoguerra, l’Italia allacciava nuove relazioni internazionali e nella vicenda di Kos né i tedeschi né i britannici avevano dato una buona prova. Sessantasei anni dopo, è imperativo ricordarsi che tra il sangue dei vinti c’è pure quello di Kos.
Con pazienza certosina (è stato rievocato il film L’Arpa Birmana) Liuzzi ha ricostruito la vicenda e la ha documentata in dettaglio. Ha anche predisposto una “petizione” al Capo dello Stato perché «si commemorino pubblicamente e con gli onori dovuti i 103 ufficiali dimenticati, si ricerchino le altre 37 salme a Lambi, zona nord-est dell'isola di Kos, come da testimonianze disponibili e si includa Kos negli itinerari della memoria insieme a Cefalonia, El Alamein, Sant’Anna di Stazzena, Foibe, eccetera». In due settimane, Liuzzi che opera, da pensionato, dalla propria casa a Latina, ha raccolto 400 firme e viene invitato a conferenze nelle scuole.


Al termine di una delle sue conferenze, una professoressa di scuola secondaria superiore ha scritto ai propri allievi una lettera in cui si dice: «Adesso avete un'idea più precisa di quali sacrifici, lacrime e sangue comporti l'adempimento del proprio dovere sia in pace che in guerra. Adesso capite meglio quanto sia importante lo studio della storia: è proprio grazie a questa disciplina che forse, per un attimo, siete riusciti idealmente a rivedere tanti nostri eroici caduti che giacciono nell'oblio lontani dai propri cari, dal suolo natio e dalla Patria. Ancora molti , purtroppo, non sanno o forse preferiscono non sapere quali immani distruzioni (di cose e di affetti) e quali tragiche conseguenze può causare un conflitto mondiale: può giungere perfino a sconvolgere l'intera società umana e a sovvertire le eterne leggi della natura. Io, vissuta durante il secondo conflitto mondiale, ho ancora avanti agli occhi le scie luminose tracciate nel cielo notturno da aeroplani colpiti e abbattuti con il loro carico di uomini e di bombe; a volte, di notte, mi pare ancora di vedere le luci accecanti dei bengala e di sentire il fischio sinistro delle sirene di allarme aereo o navale; rabbrividisco , impotente, al ricordo delle grida disperate e dei lamenti dei feriti e all'angoscia dei moribondi... È proprio il caso di dire buona volontà di bene, di pace, di perdono, di fratellanza tra popoli che anche adesso sono coinvolti in una spirale di guerre senza confini. E allora uniamoci insieme nella fervida , celeberrima preghiera di San Francesco (per la pace – n.d.r)»

Uno studente ha risposto: «Gentile Signora, io e lei non ci conosciamo. Io sono uno dei tanti destinatari della lettera da lei scritta a proposito dei fatti di Kos e Cefalonia e dei "racconti", come lui stesso li definisce, del Colonnello Liuzzi.Una lettera vera, scritta con il cuore; una lettera da cui traspare voglia di Pace (uso la lettera maiuscola non a caso), di riscatto ma anche di perdono. In un tempo in cui le parole "perdono", "pietà", "fratellanza" sono così tanto usate da essersi consumate, lei le fa rivivere in me. Sono felice di questo. Nella sua lettera lei parla dell'importanza della storia: anche qui mi trova pienamente d'accordo. Eppure, quale è la triste verità? Solo un docente su dieci sa far appassionare i ragazzi alla materia. Anche all'università spesso è tutto in funzione di quel mondo del lavoro che tanto spaventa noi giovani. Quanti di noi si mettono a studiare autonomamente la storia? Pochi. Quanti la storia del proprio paese? Pochissimi. Quanti cercano la verità sotto i documenti ufficiali? Quasi nessuno. Lungi da me l'idea di aprire un dibattito sulla scuola, sarebbe inutile e noioso; ma è tristemente vero che chi scrive la storia sono gli stessi che impiccano gli eroi. Era così ai tempi della Scozia vogliosa di indipendenza, era così ai tempi della Francia rivoluzionaria. Oggi è così. Spero non sia così anche domani. Dario Bellucco».


Queste due lettere dicono tutto sui sentimenti dell’Italia Reale e su quelli dell’Italia Immaginaria che la sinistra ed i suoi corifei e telepredicatori cercano di mostrare agli elettori.

22 marzo 2010


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