lunedì 15 febbraio 2010

- Roma, al Teatro dell’Opera arriva il “papavero” bolscevico Il Velino 15 febbraio

Dopo tante polemiche (vere o presunte) sulla lottizzazione al Teatro dell’Opera (nonché sul centinaio di aziende in cui il Comune di Roma è azionista o totalitario o di riferimento), si è dovuto aspettare che in Campidoglio ci fosse una giunta di centrodestra per vedere nella sede principale della fondazione (il Teatro Costanzi) uno spettacolo davvero bolscevico. Talmente bolscevico che dopo essere stato uno dei lavori più eseguiti in quella che era l’Urss dagli anni Venti agli anni Sessanta, dopo la morte di Stalin sparì dal Bolshoi. Tanto che non esiste più la coreografia originaria e ne è stata inventata una nuova sulla base di appunti, brevi filmati e foto d’epoca. Si tratta de “Il papavero rosso”su musica di Reinhold Glière, ucraino, comunista e patriota sino al midollo, insignito di tutti i premi dell’Unione Sovietica ma sino ad ora del tutto sconosciuto in Occidente e quasi ignoto nella Federazione Russa. Pare che la produzione del balletto (tre atti per complessive tre ore e un quarto di spettacolo) sia stata fortissimamente voluta da Carla Fracci e Bebbe Menegatti. Non è stato trovato nessun altro teatro che lo co-producesse o noleggiasse, tanto che è legittimo chiedersi se, per un teatro in serie difficoltà finanziarie e il cui bilancio preventivo non è stato approvato senza aperti dissensi, fosse appropriato imbarcarsi in tale intrapresa.

“Il papavero rosso” vide la luce nel 1927 al Bolshoi di Mosca, riscosse un clamoroso successo popolare e il favore del regime staliniano, fu replicato in Urss migliaia di volte fino al 1962, poi declinò senza approdare in Occidente, se si eccettua un’edizione americana in piena Seconda guerra mondiale, messa in scena principalmente per compiacere l’alleato sovietico. Pare, anzi, che la richiesta fosse venuta da Stalin in persona che amava il lavoro e lo trovava, negli anni in cui Shostakovich era perseguitato e la moglie di Prokofief chiusa in un campo di concentramento, un esempio di quella che dovesse essere la “musica dell’“avvenire”. La partitura di Glière, di ascendenze belghe e autore di sinfonie, concerti e di altri tre balletti, è un mélange di melodie occidentali (da balletto e commedia musicale anni Trenta), musica per quei tempi contemporanea (charleston, fox trot), danze popolari russe, orientalismi ed echi anche dell’Asia centrale. La solidarietà tra gli scaricatori e l’equipaggio sovietico dà vita a un singolare mix di toni rivoluzionari e romantici. La trama è ambientata nella Shangai degli anni Venti: si tratta della storia d’amore dall’esito tragico tra una danzatrice cinese e il comandante di un mercantile russo sullo sfondo di una rivolta dei portuali locali contro i loro sfruttatori, principalmente occidentali o cinesi al soldo di questi ultimi. Ovviamente, il miglior amico della danzatrice è il leader di un sindacato clandestino. Gli occidentali, “padroni” del porto, sono cocainomani, lussuriosi e pervertiti (si assiste a una vera e propria “ammucchiata”). I cinesi al loro servizio sadici drogati. Le prostitute cinesi, che dovrebbero corrompere i marinai russi, buone e patriote. I marinai biondi, belli e casti. In scena fumerie d’oppio, fiori di loto e complotti, danze siamesi e charleston. La protagonista viene uccisa da un cinese al servizio dei capitalisti occidentali. Ma, grazie a sua madre, Fata della Fecondità e della Sapienza, ascende al cielo mentre tutta la Cina danza al ritmo dell’Internazionale.

Dato che del balletto originale in tre atti con apoteosi finale, su libretto di Michail Kurilko e di Vasili Tikhomirov, si sono perdute quasi interamente le tracce, il giovane coreografo Nikolay Androsov, uno specialista in danze popolari russe, firma per il corpo di ballo diretto da Carla Fracci il nuovo allestimento attingendo alle successive versioni 1949 e 1957 di Lev Lashchilin, Vasili Tikhomirov e Leonid Lavronsky. Sul podio, il maestro Andrey Anikhanov, l’orchestrazione si avvale della collaborazione di Francesco Sodini. La regia è curata da Beppe Menegatti. Le scene e gli sgargianti costumi sono creati da Elena Puliti. Il disegno luci spetta a Mario De Amicis. Interpreti principali: Oksana Kucheruk e Gaia Straccamore che si danno il cambio nei panni della protagonista Tao-Hoa, Igor Yebra e Vito Mazzeo in quelli del suo amato eroe, Damiano Mongelli in quelli del sindacalista Ma Lee-Chen, di nuovo Vito Mazzeo e Manuel Paruccini in quelli del perfido Li Schan-Fu. Il personaggio di una divinità protettrice viene ritagliato appositamente per la signora Fracci. Nonostante le riserve, si tratta di uno “spettacolone” grandioso che può interessare chi volesse rendersi conto di cosa fosse un balletto sovietico, quando per questo genere di eventi Stalin non badava a spese e divertire specialmente i ragazzi. Resta un interrogativo di fondo: un tale sforzo vale la candela?

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