mercoledì 24 febbraio 2010

PER RIPARTIRE VA SUPERATA L’OCCUPAZIONE “USA E GETTA” Avvenire 24 febbraio

PER RIPARTIRE VA SUPERATA L’OCCUPAZIONE “USA E GETTA”
Giuseppe Pennisi
Le exit strategy dalla crisi in corso devono mirare non solamente a nuove regole globali per la finanza ma anche ad un programma di lungo periodo per l’occupazione. La riduzione del numero degli occupati in Italia (ad un tasso del – 2,2% annuo) è inferiore a quella che si registra in altri Paesi dell’area Ocse (come gli Usa, la Francia, la Germania e la Gran Bretagna). Anche la percentuale di coloro che cercano lavoro senza trovarlo al 7,8% delle forze di lavoro appare meno grave della media che si registra nell’unione monetaria (poco più del 10%) ma si accompagna a due fenomeni noti agli specialisti ma in gran parte ignorati dal grande pubblico: a) la contrazione delle forze di lavoro (dal 59% delle persone di età tra i 15 ed i 64 anni al 57,5% all’ultima conta) con circa 300.000 persone che non lavorano e, in gran misura disillusi, non cercano più un’occupazione; b) l’aumento dei lavoratori disposable, un elegante termine tecnico anglosassone per dire “usa e getta”. Il primo fenomeno è caratteristico di tutti i Paesi afflitti dalla recessione: qualsiasi manuale di macro-economia degli ultimi trent’anni spiega perché, a fronte di una contrazione delle opportunità di occupazione, alcune fasce (donne, certi gruppi di giovani , anziani) si ritirano dalle forze di lavoro per tornare alle faccende domestiche od agli studi od anticipare l’inizio della quiescenza. Molto italiano, invece, il secondo fenomeno. Un’analisi di Bruno Contini e Elisa Grand dell’Università di Torino (pubblicata dall’istituto tedesco di ricerche sul lavoro- IZA Discussion Paper No. 4724 ma ancora inedita in Italia) sottolinea come sia più grave di quanto rilevato durante il rallentamento economico all’inizio degli Anni Novanta e prima delle varie riforme del mercato del lavoro (dal “pacchetto Treu” alla “Legge Biagi”): su 100 giovani che entrano nel mercato del lavoro, 70 ci sono ancora se il loro primo impiego dura più di un anno, ma ne restano 50 (o occupati o a cercare lavoro) se il loro primo contratto è di meno di tre mesi. L’altra metà (di questo gruppo) finisce in attività “non rintracciabili e spesso irregolari” (il “sommerso” di ogni ordine e grado). Un’analisi comparata di 121 Paesi (nell’arco di tempo 1974-2004, ossia prima dell’attuale crisi) pubblicata sul numero di febbraio della Review of Development Economics ammonisce come il fenomeno del lavoro usa e getta ha non solo non desiderabili implicazioni sociali ma frena la crescita economica.
Senza dubbio, le riforme del mercato del lavoro degli ultimi 20 anni hanno traghettato l’Italia verso una maggiore flessibilità in entrata ed hanno contribuito all’aumento dell’occupazione registrato tra il 2002 ed il 2008. Tuttavia, articolate su oltre 50 fattispecie di rapporti di lavoro, hanno frammentato il mercato del lavoro e spesso gettano uno stigma negativo su chi non riesce ad avere contratti superiori ad un anno, tenendo lui o lei ai margini e facendoli scivolare nel sommerso.
La strategia per superare il fenomeno consiste nell’andare verso un contratto unico- se del caso “a punti” con un periodo di prova relativamente e effettuato anche presso differenti datori di lavoro (ed appropriatamente monitorato per contenere comportamenti opportunistici). In Parlamento, ci sono varie proposte , in gran misura variazioni del modello attuato in Francia. Occorre dare loro priorità nei lavori legislativi. Non si può eludere il problema, senza mettere a repentaglio non solo l’equità ma anche lo sviluppo.

Nessun commento: