mercoledì 10 febbraio 2010

Fiat: qual è la strategia industriale? Il Velino 10 febbraio

ECO - Fiat: qual è la strategia industriale?

Roma, 10 feb (Velino) - Sino al momento in cui scrivo questa nota, i vertici della FIAT non hanno reagito all’annuncio che nell’anno iniziato da alcune settimane, il Governo italiano è pronto a fornire al settore dell’auto unicamente incentivi per la ricerca e l’innovazione. D’altronde, l’Amministratore delegato del Lingotto Sergio Marchionne ha detto e ribadito che l’azienda non soltanto non avrebbe mai ricevuto aiuti in passato ma non era con la mano tesa per chiederne di nuovi. Una “guasconata”, ha detto uno dei suoi autorevoli predecessori. Per comprendere cosa c’è dietro tale “guasconata” occorre fare un passo indietro ed andare all' "addio senza rancore" con cui, non molti mesi fa, l’Opel (non senza il supporto del Governo tedesco) ha comportato una modifica profonda al piano industriale del Lingotto. Allora, ho scritto su un quotidiano romano che per stimare il costo della rottura (tra FIAT-Chrysler e Opel) si sarebbero dovute calcolare le opzioni reali a cui il Lingotto doveva rinunciare a ragione sia del mancato accordo sia dell’intesa raggiunta con la Magna International. Due aspetti i cui effetti si sommano l’uno sull’altro.

Innanzitutto, il “piano Marchionne” si basava sull’ipotesi che nel mercato globale, una volta che i giganti indiani e cinesi prenderanno il volo, potranno “sopravvivere” solamente le case automobilistiche con un fatturato annuo di 80 miliardi di euro ed una produzione annua di 6 milioni di auto. Oggi la situazione è, per il Lingotto, ancora più preoccupante: la Cina sta puntando sulla metalmeccanica più di quanto si sarebbe previsto qualche mese fa. Unicamente la Geely (la “piccola”, per così dire, compagnia cinese presente al salone di Detroit) progetta di esportare, entro due anni, 1.3 milioni di veicoli, tra cui cilindrate leggere al prezzo f.o.b. (free on board, ossia all’imbarco dai porti dell’Estremo Oriente) di meno di $ 10.000 ed un modello sportivo (il Beauty Leopard) al prezzo f.o.b. di $ 15.125. La Fiat ha un fatturato di 60 miliardi di euro ed una produzione di 2,5 milioni di auto. Con quel-che-resta-della-Chrysler, fatturato e produzione potrebbero crescere di un terzo: ben al di sotto dell' “obiettivo di sopravvivenza”.

Anche in quanto, nel mercato dell’Ue e dell’Europa dell’Est, la FIAT avrà a che fare con un concorrente agguerrito (la Opel) che già oggi produce 1,7 milioni di auto, e che ha ampia liquidità ed un accesso preferenziale ad oriente tramite la Sberbank, la maggiore cassa di risparmio russa. Non solo la FIAT ha perso il vantaggio dell’integrazione tecnologica con Chrysler e Opel (ambedue rivolte alle medie cilindrate), ma ha anche il danno che la tecnologia Opel rafforza chi sino ad ora si è dedicato principalmente alla produzione di componenti di grandi cilindrate. Ciò rende ancora più difficile penetrare nel mercato nord-americano: Magna International ha la propria sede in Canada (pur se radici anche in Austria e Russia) e dal 1962 esiste un accordo Usa-Canada in materia di commercio d’auto. Non è certo facile operare in un mercato europeo in rapida riconversione: un saggio recente di Pier Carlo Padoan (Vice Segretario Generale dell’Ocse) e Paolo Guerrieri (Università La Sapienza e Collège d’Europe a Bruges) dimostra come l’Europa stia passando da una crescita trainata dall’export di manufatti ad uno sviluppo promosso dalla domanda interna per i servizi alla persona e l’ambiente. In tale contesto, il mercato Ue dell’auto pare destinato a diventare sempre più selettivo.

Infine, la FIAT ha perso l’Opel a causa della propria situazione finanziaria: non ha potuto offrire liquidità a ragione di un indebitamento netto stimato dalla Sanford C. Bernstein in 6,6 miliardi di euro – un fardello pesante dato che molti prevedono un aumento dei tassi d’interesse. A fronte di questi costi (ed agli interrogativi che sollevano banche e finanziarie), Sergio Marchionne avrebbe dovuto chiarire quale è la strategia alternativa (in gergo “il piano B”) nei suoi obiettivi, contenuti e modalità d’attuazione. Se le premesse del “piano A” erano corrette, è in gioco la “sopravvivenza stessa” della maggiore industria del manifatturiero italiano. Ciò non è stato mai chiarito. Anzi l’attenzione è stata spostata a crisi gravi ma puntiformi, come quella di Termini Imerese. Senza chiarimenti di fondo sulla strategia industriale (e finanziaria), nuovi aiuti sarebbero stati soltanto panni caldi ed aspirina somministrati al di fuori di un’effettiva diagnosi, prognosi e terapia.

(Giuseppe Pennisi) 10 feb 2010 15:25

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