mercoledì 3 febbraio 2010

Cosa ha affossato la strategia di Lisbona Il Velino 3 febbraio

ECO - Cosa ha affossato la strategia di Lisbona

Roma, 3 feb (Velino) - In queste settimana ricorrono i dieci anni dal varo, da parte di una sessione straordinaria del Consiglio Europeo, del programma di Lisbona in base al quale l’UE sarebbe dovuta diventare nel 2010 l’area più dinamica della comunità internazionale. Nessuno pare intenzionato a celebrare la ricorrenza. Infatti c’è poco da stare allegri: costruito con un approccio burocratico centralista di programmazione a cascata, già del 2005 il programma è stato profondamente rivisto, negli strumenti più che con gli obiettivi. L’Italia ha fatto la sua parte presentando nell’autunno 2005 un Programma per l’Innovazione, la Competitività e l’Occupazione (PICO) considerato esemplare nell’UE ma presto dimenticato a casa nostra quando è giunta nei Palazzi “la sinistra di governo”. Dopo le elezioni del 2008, nessuno parlava più di Lisbona né in Europa né in Italia in quanto eravamo travolti dalla crisi finanziaria ed economica internazionale. Oggi, l’UE sta uscendo lentamente da una grave recessione ed ha un tasso di disoccupazione del 10% che potrebbe aggravarsi nel corso del 2010. L’obiettivo di diventare l’area più dinamica della comunità internazionale, quindi, è tanto lontano che non se parla più. Mentre chi si ricorda di Lisbona corre ai lacrimatoi ed intona le proprie lamentazioni, occorre analizzare gli elementi che erano sotto il nostro controllo (indipendenti quindi dal contesto internazionale e dallo stesso cambiamento di maggioranza nel 2006-2008) ma non sono stati a pieno utilizzati. Al fine che lo siano – qualche che sia il futuro della strategia di Lisbona – per porre di nuovo l’Italia sulla via dello sviluppo.

Un aspetto critico della transizione verso l’economia digitale e la società dell’informazione è il ruolo che, specialmente nell’esperienza italiana, ha la televisione digitale (in gergo Dvb-T, Digital video broadcasting- Terrestrial) come elemento unificante ed asse portante per l’insieme dell’economia digitale (umts, banda larga) e, di converso, la funzione delle autonomie locali nel rendere possibile il successo della Dvb-T. E’ intuitivo anche per non iniziati nei meandri della e-economy vedere come la transizione da televisione analogica a Dvb-T possa fare da motore e dare unità al cambiamento : dato che il 90% delle famiglie italiane ha un televisore mentre meno di il 60% ha un Pc e sono ancora meno quelle con un collegamento veloce alla rete delle reti, quando , con la Dvb-T, tutti i televisori avranno, o direttamente oppure tramite il decoder (set top box), le proprietà di interattività di un computer, si sarà fatto un passo da gigante verso la digitalizzazione del sistema economico.

Meno immediata la connessione con le autonomie locali. Un’analisi economica e finanziaria della Dvb-T condotta dalla Fondazione Ugo Bordoni (Fub) illustra con chiarezza come la sostenibilità finanziaria della Dvb-T dipenda principalmente da come verrà utilizzata la sua interattività, ossia dal numero di transazioni giornaliere per famiglia. Nell’ipotesi che vengano effettuate 10 transazioni al giorno, gli indicatori di convenienza finanziaria risultano positivi, mentre è forte la probabilità che diventino negativi se scendono al di sotto di sette transazioni al giorno. L’analisi esamina un’ampia gamma di scenari e fa ricorso non solo a metodi probabilistici come “le simulazioni di Montecarlo” ma anche alla valutazione delle opzioni di flessibilità e di differimento.

In altri termini, la validità finanziaria della Dvb-T (e del resto dell’economia digitale al suo traino) dipende dalla capacità di vendere una quantità sufficiente di servizi on line complessi. Tali servizi – si badi bene – sono in gran parte quelli della Pa a livello locale oppure di istituzioni come le Asl- ossia di amministrazioni, agenzie, aziende pubbliche ed enti vari a cui le famiglie e gli individui devono ricorrere con grande frequenza nella loro vita di tutti i giorni. In effetti la Dvb-T presuppone una riorganizzazione, a volte anche radicale, della Pa , soprattutto a livello locale, e di agenzie, aziende pubbliche ed enti vari perché massimizzino le opportunità loro offerte dalle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (Itc). Ciò conferma la centralità della Dvb-T nel processo di trasformazione tecnologica dell’Italia. Se la via dello sviluppo tecnologico passa per la Dvb-T e, a sua volta, la Dvb-T passa per i comuni digitali, diventa critico quello delle autonomie locali. La vasta gamma di enti ed agenzie ad esse collegate (se non lo hanno ancora fatto) si diano una mossa.

(Giuseppe Pennisi) 3 feb 2010 12:52

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