giovedì 28 gennaio 2010

SERVE UN PATTO GENERAZIONALE Il Tempo 28 gennaio

SERVE UN PATTO GENERAZIONALE
Giuseppe Pennisi
Il Ministro per l’Innovazione e la Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha lanciato in questi giorni alcune provocazioni sulla necessità, ed urgenza, di riscrivere il patto generazionale . Provocazioni giustificatissime; anche il vostro chroniqueur , una quindicina di anni fa, ha tentato di smuovere le acque con un libretto intitolato La guerra dei trentenni. Le provocazioni hanno suscitato irritazione, come avviene sempre quando si lancia un sasso nello stagno. Specialmente irritati coloro (come quei sindacalisti che tutelano solo e sempre che si avvicina alla pensione) che temono di perdere qualcosa.
In effetti, dati ed esempi recenti mostrano che cambiare la voce di spesa più importante del welfare (quella per le pensioni) può essere non un”gioco a somma zero” (in cui le perdite sono compensate da vincite e viceversa) ma una partita in cui vincono tutti (in gergo un win-win-game).
Come mai? In un meccanismo previdenziale in cui gli assegni sono correlati ai contribuiti quanto più si resta nel mercato del lavoro, si produce, si guadagna e si contribuisce tanto più l’assegno è pingue e tanto meno si rischia di passare l’ultima fase della vita in povertà. Un’analisi del centro studi tedesco CESifo conclude che una coppia di anziani europei considera la pensione “adeguata” se copre l’80% del reddito disponibile negli ultimi anni di vita attiva. Una del Michigan Research Center for Retirement stima “adeguate” le pensioni se pari al 70% degli ultimi stipendi. Con il contributivo all’italiana, dopo 40 anni di lavoro, con una progressione di carriera superiore alla media si andrà in pensione con il 40%-50% dell’ultima retribuzione; inoltre, con il passare degli anni l’assegno mensile è destinato ad assottigliarsi a ragione del metodo d’indicizzazione. Il problema non si risolve togliendo ai padri per dare ai figli ma tenere più a lungo al lavoro quei padri che possono e vogliono farlo. Ciò si ottiene non ritardando l’età della pensione ma abolendola (fatti salvi controlli per appurare che si è in grado di svolgere i compiti richiesti).
Negli Usa, una quindicina di anni fa, su richiesta di gruppi di senior citizens la Corte Suprema ha abolito l’età legale della pensione in quanto discriminatoria nei confronti degli anziani. In Gran Bretagna su istanza della Commissione per i Diritti Umani e Pari Opportunità, la Camera dei Comuni sta esaminando una proposta analoga.
Non ci troveremmo con un tappo che bloccherà le carriere dei giovani? Non solamente si tratta di mercati del lavoro distinti, ma ipotizzando che l’impresa privata, rispondendo al mercato, non si tenga manager vetusti diventati inutili, il problema si pone per la Pa. Lo si può risolvere facilmente stabilendo (come già fanno molte organizzazioni internazionali) che dopo una certa età anagrafica si lasciano le posizioni di line e si passa, in funzione di staff, a supportare dirigenti giovani.
Pensiamoci : è un piccolo passo verso l’economia della felicità.

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