giovedì 28 gennaio 2010

- Risorgimento/ Verdi, l’apolitico che divenne il bardo dell’Unità Il Velino 28 gennaio

- Risorgimento/ Verdi, l’apolitico che divenne il bardo dell’Unità

Risorgimento/ Verdi, l’apolitico che divenne il bardo dell’Unità
Roma, 28 gen (Velino) - Ha perfettamente ragione Alberto Mattioli su La Stampa di oggi a sostenere che “il bardo” del Risorgimento è stato Giuseppe Verdi e che la forma artistica in cui questo periodo storico si è meglio espresso non è stato il romanzo ma il melodramma (nelle specifiche dategli dal compositore). Giusta anche l’osservazione di Mattioli sul fatto che Verdi acquisì una coscienza “risorgimentale” solo in concomitanza dei moti del 1848, della Repubblica Romana e delle guerre d’indipendenza. Occorre, però, fare alcune precisazioni. La coscienza risorgimentale di Verdi fu limitata. Il compositore è stato essenzialmente un apolitico, fedele suddito di Maria Luigia sino al trasferimento a Milano e dopo di allora senza alcun manifestazione di “dissidenza” nei confronti degli Asburgo, almeno fino al termine della Terza guerra d’indipendenza. Le opere della “trilogia popolare” (“Rigoletto”, “Trovatore” e “Traviata”) non ebbero le loro prime rappresentazioni nella Milano “liberata” con la Seconda guerra d’indipendenza, ma nella papalina Roma e nella asburgica Venezia. La sua opera concettualmente più rivoluzionaria “Stiffelio”, imperniata sul perdono dell’adulterio, ebbe la prima rappresentazione a Trieste, città che fungeva da porto e da Borsa di Vienna. Verdi, anzi, provava un certo disprezzo nei confronti della politica, palesato apertamente in “Simon Boccanegra”, “Don Carlo” e, soprattutto, “Aida”. Nominato senatore del Regno, non fece mistero (il suo epistolario è chiarissimo) di annoiarsi. Non potendo dimettersi, andava a palazzo Madama il meno possibile.

Quindi, la partecipazione di Verdi al movimento di unità nazionale fu sostanzialmente passiva, non come quella di Richard Wagner, rivoluzionario e nazionalista, che sin dalle prime opere (si pensi a “Lohengrin”) vagheggiava un nuovo e invincibile impero germanico. I suoi melodrammi vennero, però, letti come espressione risorgimentale da quella borghesia che andava a teatro, ne finanziava l’operatività ed era l’anima del movimento. Poco importa che alla prima alla Scala nel 1842 “Va’ pensiero” ricevette applausi di cortesia mentre il pubblico si spellò le mani all’inno finale a Dio (Verdi non era credente). Eppure, nell’immaginario, “Va’ pensiero” viene ancora oggi letto come simbolo del Risorgimento. È utile aggiungere che il Risorgimento è uno dei due periodi – l’altro è il Seicento a Venezia – in cui, in Europa, la lirica si finanziò con le proprie gambe, ossia con i proventi della biglietteria e i finanziamenti dei “palchettisti”. Altro segno del ruolo del melodramma nel movimento di unità nazionale.

(Hans Sachs) 28 gen 2010 17:23

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