venerdì 29 gennaio 2010

L’AQUILA, PER RITROVARE LE ALI CI VUOLE UNA VISIONE Avvenire 29 gennaio

L’AQUILA, PER RITROVARE LE ALI CI VUOLE UNA VISIONE
Giuseppe Pennisi
Il centro storico de L’Aquila è stato definito “nel suo insieme un’opera d’arte”. Quindi, la sua ricostruzione merita la diligenza con la quale vengono restaurate le opere d’arte. Per questo motivo, le tematiche della ricostruzione del centro storico de L’Aquila sono da mesi uno degli argomenti all’attenzione del Consiglio Superiore per i beni culturali e paesaggistici.
La ricostruzione del centro storico de L’Aquila comporta non solamente aspetti tecnici ed artistici ma anche trovare il modo per fare sì che esso diventi di nuovo il cuore di una città viva, non un museo accanto a cento nuovi villaggio che -mutuando l’efficace definizione di Moravia a proposito di Los Angeles – tentano di diventare una città.
Il problema è concreto ed immediato. Già nell’ottobre 2004, ad un congresso scientifico al Politecnico di Torino, l’Audis (associazione di studiosi della riconversione dei aree dismesse) ha lanciato un vero e proprio di allarme sul progressivo esodo della popolazione dai centri storici di molti Paesi europei verso nuove periferie attrezzate con grandi supermercati, cinema multiplex e simili. Da decenni, un grido di dolore analogo viene ripetuto dall’Icromm (piccola ma importante agenzia dell’Unesco, con sede a Roma, il cui scopo principale è il restauro dei centri storici). Non mancano esempi: da quelli di Beaune in Francia,dove pur esiste uno dei monumenti più visitati del Paese ma il cui centro storico da anima dell’economia e della cultura della Borgogna è diventato una trappola per turisti a quello di Varsavia, ricostruito (dopo che Hitler ne fece fare “terra bruciata”) in base alle tele del Canaletto ma diventato una scenografia da palcoscenico o da studio cinematografico.
Per fare sì che il centro storico de L’Aquila abbia un’anima non basta una ricostruzione ad opera d’arte , effettuata con la cura e l’amore che si ha proprio nei restauri delle opere d’arte. Occorre un disegno alto che gli dia una missione forte e non si basi sulla premessa, probabilmente illusoria, che, una volta completato il restauro, la popolazione rientri in abitazioni (spesso meno “moderne”) lasciate anni prima e riprenda attività economiche trasferitesi altrove.
L’Aquila è stata per secoli la capitale settentrionale dei vari Regni che si sono succeduti nel Sud dell’Italia – ultimo, in ordine di tempo, quello delle Due Sicilie. In quanto capitale settentrionale di Regni rivolti verso il Mediterraneo, si è sempre caratterizzata come centro culturale , tecnologico ed economico non solamente amministrativo. La vita economica derivava, in gran misura, da quella culturale e tecnologica.
La città può ipotizzare il proprio futuro riconquistando la propria centralità culturale e tecnologica ed utilizzando come base l’Università e il non distante Laboratorio del Gran Sasso. Mesi fa, in altra sede, ho proposto che L’Aquila si dia come missione quella di diventare la Cambridge dell’Italia centrale. Una missione più visionaria che realistica. Senza una visione, però, non si può dare un’anima neanche al centro storico più pregiato.
Ciò comporta, sin da adesso, voltare drasticamente le spalle a prassi discutibili. In primo luogo, non si può creare un’Università d’eccellenza (con centri di ricerca di eccellenza) se i professori, anche quelli nati e cresciuti a L’Aquila, sono pendolari, vi pernottano l’indispensabile, corrono tra una lezione e l’altra e vivono di fatto a Roma (dove ci sono maggiori opportunità per incarichi extra-accademici). In secondo luogo, è necessario il duro impegno per acquisire l’autorevolezza essenziale per avere un ruolo centrale in una rete culturale internazionale.

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