lunedì 14 dicembre 2009

NEUROEUROPA: LE TRE POSSIBILI VIE D’USCITA DAGLI SMOTTAMENTI ECONOMICI NELL’UNIONE EUROPEA, Il Foglio15 dicembre

NEUROEUROPA: LE TRE POSSIBILI VIE D’USCITA DAGLI SMOTTAMENTI ECONOMICI NELL’UNIONE EUROPEA
Giuseppe Pennisi
Nel decennale della nascita dell’euro, non è il caso di stappare champagne poiché si è alle prese con la minaccia dell’implosione dell’unione monetaria. Più preoccupanti delle voci degli economisti che si ascoltano in questi giorni, sono quelle di alti funzionari dei Ministeri economici e della Banche centrali. Nelle prime due settimane di dicembre, si sono seduti (riservatamente) al capezzale dell’euro quelli di Eurolandia, Regno Unito, Svizzera, Usa, Canada ed anche Australia e Nuova Zelanda. La settimana iniziata il 14 dicembre, sarà la volta di incontri tra esponenti dell’area dell’euro, della Federal Reserve, del Giappone, della Norvegia e della Svezia.
Cosa è alla base delle preoccupazioni nonostante la forte valorizzazione dell’euro sui mercati internazionali. Da un canto, i “parametri” del Trattato di Maastricht e del “patto di stabilità” (un tetto del 3% del Pil all’indebitamento netto ed un andamento tendenziale verso uno stock del debito pubblico non superiore al 60% del Pil) non vengono rispettati da quasi nessuno; alcuni (Germania, Francia, Italia) per ragioni di breve periodo derivanti dalla recessione in atto, altri per determinanti più profonde attinenti alle strutture ed al funzionamento delle loro economie. In aggregato, lo stock debito pubblico per l’area dell’euro è al 90% del Pil. Siamo molto lontani dal protocollo del marzo 2005 con il quale sono stati ammorbiditi i vincoli del patto di stabilità in caso di recessione. Gli spreads (ossia il differenziale dei rendimenti nominali sui titoli di Stati emessi dai vari Paesi dell’area dell’euro) sono aumentati rapidamente. Le agenzie di rating hanno declassato i titoli in euro emessi dalla Grecia (e la Bce ha minacciato di non comprarne più) e starebbe per prendere misure analoghe nei confronti della Spagna. Mentre l’Irlanda sta adottando una cura da cavallo (riduzione degli stipendi nel pubblico impiego, tagli ancora maggiori alle indennità per cariche politiche, contributi di solidarietà per le pensioni, riassetto degli ammortizzatori), Grecia e Spagna possono diventare i birilli deboli dell’euro: se cadono, possono mettere a repentaglio la fiducia nei confronti dell’intera costruzione. Una prospettiva che fa paura anche a chi non è parte della moneta unica: ciò spiega la presenza di Usa, Canada, Regno Unito, Svizzera, Giappone, Svezia e Norvegia negli incontri di questi giorni ed anche perché la Federal Reserve sarà probabilmente accanto alla Bce (ed a Francia e Germania) in un piano d’emergenza per tenere a galla la Grecia, sempre che Atene dimostri di essere in grado di risanare i propri conti nei prossimi 12 mesi.
Non basta, però, uscire dall’emergenza immediata. La crisi mette a nudo quanto negli Anni Novanta hanno sostenuto economisti come Alberto Alesina e Martin Feldstein) : quella dell’euro non ha le caratteristiche di un’area valutaria ottimale in termini di strutture delle economie dei Paesi membri e di flessibilità dei prezzi dei fattori di produzioni e delle merci e servizi con il risultato che senza riforme profonde, al primo scossone internazionale, si hanno conseguenze gravi, ed asimmetriche, sui vari Paesi.
Come uscirne allora? C’è chi vagheggia un balzo verso una struttura federale con un trasferimenti di entrate e di competenze di spesa a autorità europee in modo da poter disporre di uno strumento di politica di bilancio che possa integrare la politica monetaria della Bce. Lo propongono due economisti in auge tra quelli della giovane generazione, Stephanie A. Kelton e L. Randall Wray, nel Public Policy Brief n. 106 del Levy Economic Institute del Bard College, in uscita in questi giorni. Tesi analogh sono state sostenute spesso anche da politici, per lo più francesi ma anche italiani. Si tratta, però, di un’ipotesi non realistica in quanto comporta una vera e propria cessione di sovranità dalle autorità nazionali a quelle dell’Eurogruppo –passo che nessun Governo dell’area pare pronto a pure solo congetturare. Altra ipotesi estrema viene delineata in documento interni dei servizi della Commissione Europea e della Bce: tamponata la crisi, sarebbe sufficiente una nuova ondata di liberalizzazioni (dove meno ci si è mossi, ossia i servizi). Non solo si tratta di materie di competenza non degli Stati dell’area dell’euro ma degli enti locali (in gran misura i comuni) ma sarebbe un po’ come proporre l’aspirina invece di chiamare uno specialista. Analogamente poco ci si può aspettare dalle nuove authority europee di regolazione e vigilanza dei mercati finanziari dato che anche il funzionamento di quelle nazionali , pur con decenni d’esperienza, lascia a desiderare.
Verosimilmente, si potrebbe aspirare ad andare verso una politica di bilancio comune come prodotto tangibile dei “parlatori” mensili all’interno dell’Eurogruppo. Non sarebbe un passo risolutivo, ma ci si porrebbe sul sentiero corretto.

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