mercoledì 28 ottobre 2009

PERCHE' IN QUESTO MOMENTO OCCORRE CONIUGARE CRESCITA CON RIGORE L'Occidentale del 27 ottobre

Rigore e crescita non sono concetti che si giustappongono, specialmente nel contesto di una situazione economica come l’attuale. Sono complementari.

E’ utile ricordare che, prima dell’attuale crisi economica, analisi econometriche del servizio studi della Banca centrale europea (Bce) ponevano all’1,3% il potenziale di crescita annuo massimo dell’economia italiana a ragione della struttura demografica anziana ed in invecchiamento, di un apparato manifatturiero maturo (ed in gran misura a tecnologie intermedie) e di un settore dei servizi meno liberalizzato che altrove. Anche ove si marciasse a tale tasso potenziale di crescita (raramente toccato per un periodo significativo – ad esempio un lustro- negli ultimi 15 anni), ci vorrebbero circa otto anni per recuperare la perdita di sei punti percentuali di pil nel 2008-2009: il pil tornerebbe ai livelli del 2007 non prima del 2019. Ancora più fosche le aspettative per l’occupazione a ragione del fenomeno dell’isteresi (termine preso in prestito dalla fisico) in base al quale le imprese tornano ad assumere quando la loro capacità produttività torna solidamente ad operare a piena capacità.

Una strategia solo del rigore contribuisce a risolvere questi problemi unicamente se serve a mantenere a galla la scialuppa in attesa di un rimorchiatore straniero (la ripresa della domanda internazionale per il nostro export). Saremmo una scialuppa con un certificato internazionale di buona condotta, utile in un’Ue in cui 20 dei 27 Paesi hanno deficit e debiti ben superiori a quelli previsti nel “patto di crescita e di stabilità”, per l’area dell’euro. La strategia del rigore, ricordiamolo, è richiamata nelle regole dell’unione monetaria specialmente per un Paese, come l’Italia, il cui stock di debito pubblico ha ripreso a salire e minaccia di sfiorare il 120% del pil entro il 2020. Quindi, rappresenta il certificato di buona condotta.

Tuttavia, è proprio l’appartenenza all’unione monetaria a far sì che occorre anche una strategia di crescita (tale che non porti ad eccedere in misura eccessiva le regole del “patto di crescita e di stabilità”).

Esaminiamo l’unione monetaria con la metodologia delle “opzioni reali”. Appartenere all’unione monetaria comporta “finestre d’opportunità” (opzioni) per tutti i soci del club. L’Italia si è avvantaggiata di queste “finestre d’opportunità”: è difficile costruire scenari contro fattuali, ma possiamo immaginare cosa sarebbe successo se nella crisi finanziaria in corso da metà del 2007 non avessimo avuto l’ancora dell’euro e gli interventi della Bce. Tuttavia, in parallelo con tali “finestre d’opportunità” per noi positive, ce ne sono altre , positive per i nostri partner ma negative per noi (in gergo “liability options”. E sui cui contenuti e sui cui tempi non abbiamo alcun controllo. Non solamente i nostri partner stanno conducendo politiche di crescita più aggressive delle nostre sotto il profilo delle politiche di bilancio, la Germania ha annunciato una forte riduzione delle tasse che inciderà negativamente sul potenziale di esportazione delle nostre imprese. E probabile che , nel quadro dell’accordo franco-tedesco del lontano 1987, la Francia si avvii sulla stessa strada. In aggiunta, un’analisi strutturale effettuata dal Cnr mostra come la recessione stia causando morti e feriti in termini d’innovazione tecnologica in tutta Europa, ma in Italia un po’ più che altrove. Torniamo alle “opzioni reali” ed alla “finestre d’opportunità”. C’è il pericolo che i vantaggi degli altri dall’impiego di queste “finestre d’opportunità” siano svantaggi per noi e riducano ulteriormente il nostro tasso di crescita.

Ricordiamoci cosa è avvenuto in America Latina all’inizio di questo decennio. l’Argentina si era data una grande “finestra d’opportunità” agganciando il proprio cambio al dollaro Usa, liberalizzando, privatizzando e ne aveva tratto una crescita economica molto rapida negli Anni 90. Aveva, però, dato, inconsapevolmente, una “finestra d’opportunità” al Brasile che quando svalutò (rispetto al dollaro Usa) non chiese il permesso ai vicini di Buenos Aires , ma ne mise a soqquadro l’economia.

Cosa fare? Iniettare liquidità nelle imprese pagando prontamente i debiti che la Pubblica Amministrazione ha nei loro confronti, ritoccare le aliquote di alcune imposte (non solo Irap ma anche Ire) per stimolare la domanda interna di consumi e, per contenere la spesa, soprattutto ridurre la lunga transizione prevista per la riforma previdenziale e soprattutto abolire il pensionamento “per limiti d’età” degli anziani che vogliono e possono lavorare.

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