venerdì 31 luglio 2009

IL RISCATTO DEL SUD NELLE MANI DELLE DONNE Il Tempo 31 luglio

Le donne sono, al tempo stesso, l’ancora di salvezza e la leva per lo sviluppo del Mezzogiorno. E’ sul genere femminile che occorre puntare per fare sì che il Sud e le Isole riducano i divari che li separano dal resto del Paese. Lo intuiva circa un quarto di secolo fa il “Piano per il Lavoro”, presentato dal Ministro dell’epoca Gianni De Michelis ma in gran misura redatto dall’attuale Ministro della Funzione Pubblica e dell’Innovazione Renato Brunetta. Il “Piano” documentò come il futuro dell’Italia sarebbe in gran misura dipeso dall’aumento del tasso di attività e del livello d’istruzione delle donne del Mezzogiorno – la principale risorsa del Paese poco utilizzata. L’economista americano Charles Kindleberger ci aveva insegnato che il nostro “miracolo economico” era dovuto al capitale umano reso improduttivo a ragione della seconda guerra mondiale. Il capitale umano delle donne del Mezzogiorno è la determinante su cui fare affidamento.
In questo primo scorcio di XXI secolo, la questione meridionale ha caratteristiche differenti da quelle di cento anni fa. Si staglia in un contesto di invecchiamento della struttura demografica e produttiva del Paese; è aggravata da una recessione dell’economia mondiale che ha colpito gravemente l’export. Viene accentuata da un fenomeno migratorio che , in base ai più recenti dati Svimez, riguarda i lavoratori di genere maschile tra i 25 ed i 29 anni e con una buona percentuale di laureati più che quelli di genere femminile. Nel contempo, aumenta la partecipazione delle studentesse nelle università. In prospettiva, in Italia come in molti Paesi Ocse (si veda OECD “Higher Education in 2030) il numero delle laureate supererà quello dei laureati: nella media italiana , le studentesse universitarie passano dal 45% al 60% tra il 1985 ed il 2005; nel Mezzogiorno il fenomeno sarà probabilmente ancora più accentuato a ragione della prevalenza di giovani maschi laureati nell’emigrazione verso il Centro-Nord o l’estero. Nei quattro anni in cui ho insegnato ad un master in management pubblico a Palermo, le studentesse (in gran parte laureate in ingegneria o simili) erano mediamente più brillanti degli studenti (di norma provenienti da giurisprudenza ed affini) ed hanno, con poche eccezioni, avuto maggiori soddisfazioni di carriera.
Cosa fare? In primo luogo, eliminare le barriere culturali secondo cui l’80% del lavoro domestico e della cura dei figli è affidato alle donne (rispetto al 60% negli Usa): senza parità d’opportunità in questo campo anche gli uomini si condannano ad uno sviluppo con il freno a mano tirato. In secondo luogo, incoraggiare la formazione femminile sin dalla scuola elementare specialmente nella matematica e nelle scienze, seguendo le indicazioni della recente analisi PISA (Programme for International Student Assessment - un programma relativo ai livelli effettivi degli studenti di vari Paesi). In terzo luogo, promuovere schemi per ridurre i tempi di attesa tra termine degli studi ed inizio del lavoro.

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