martedì 14 luglio 2009

AL FESTIVAL DI AIX EN PROVENCE C’E’ QUALCOSA DA IMPARARE A PROPOSITO DELLA LEADERSHIP Il Foglio15 luglio

Il Festival di Aix Provence (che in questa edizione 2009 aggiunge a opere e concerti ed alla consueta rassegna di contemporanea, una sezione di musica “mediterranea”, con una strizzata d’occhio alla sponda meridionale del Mare Nostrum, ) è per tutto il mese di luglio il luogo di incontro di politici, intellettuali, economisti e di “beautiful people” in generale dell’Europa continentale. E’ “decontracté” (ossia si può andare a teatro anche in tenuta sportiva), non rigido e formale come Salisburgo o Bayreuth o snob (e soprattutto “exclusive”) come Glyndebourne. Assomiglia più a Capalbio che ai grandi luoghi europei della grande musoca. E’ preceduto da tre giornate il cui “Le Club des Economistes” (un circolo molto selettivo unicamente di 30 aficionados alla “triste scienza”, ma dal 4 al 6 luglio hanno invitato 110 colleghi da tutto il mondo) fa le bucce al G8 in preparazione ed è seguito da altri incontri a latere (anche della Mont Pélerin Society fondata da Hayek). Il Festival si regge con le proprie gambe: un terzo del budget è fornito da Pantalone, il resto da biglietteria, sponsor e vendite di diritti (Tv e DvD) e di allestimenti in Europa ed Usa. Le manifestazioni “di economia” sono elemento utile ad attirare sponsor.
Coniugare i cieli azzurri del Midi, le scogliere rosa di Cassis (ad una trentina di chilometri), la cucina ed i vini provenzali con una vasta gamma di musica, è il modo migliore per assaporare l’economia e la politica europea in questa estate di recessione. La programmazione della parte operistica del Festival – definita con anni di anticipo – sembra quasi trarre le conclusioni del “Club des Economistes”, i cui lavori accademici sono stati conclusi, però, solo alla vigilia dell’appuntamento.
Al “Club” è stato presentato un quadro pessimista del continente vecchio (termine più appropriato di quello consueto per indicare l’Europa): gran parte degli impegni assunti al G20 di Londra il 2 aprile non sono stati rispettati; il G8 de L’Aquila si sarebbe concluso lasciando aperti i 5 capitoli più importanti; nonostante le novene, il protezionismo sta avanzando (in maschera); l’Ue non è in grado di attuare una politica per contrastare una recessione destinata a durare a lungo. L’antidoto è la fantasia al potere (espressione francese prima che italiana) che vuole dire una nuova generazione nella stanza dei bottoni. Ed è proprio la fantasia che – come sappiamo –ha vinto a L’Aquila. Tra un “rosé” ed un piatto di “farcis provenciaux”, il consigliere speciale di Sarkozy, Henry Guaino, dice :”noi l’abbiamo già fatto” ed ammicca alla giovane età media dell’Esecutivo.
Il cambiamento generazionale al potere è anche il tema delle prime tre opere presentate al Festival : “Il Crepuscolo degli Dei” di Wagner, “Idomeneo” di Mozart e “Orfeo all’Inferno” di Offenbach. Lo è pure della terza, “Il Flauto Magico” di Mozart, che debutterà il 25 luglio.
Ne “Il Crepuscolo” (con cui si chiude un “Anello del Nibelungo” co-prodotto con il Festival di Salisburgo e con i Berliner Philarmoniker – regia Stéphane Braunschweig, direzione musicale, Sir Simon Rattle, un cast stellare) non si dà una lettura apertamente politica (come si usava nelle regie Anni 70) della saga wagneriana. In un’interpretazione psicologica e quasi intimista, il cambiamento generazionale si avverte ancora di più: dopo l’incendio del Palazzo terreno ed il crollo di quello degli Dei vecchi e stanchi, l’anello che racchiude il potere è nelle mani di tre belle e giovani figlie del Reno in sottoveste (la scena dell’intero spettacolo è tre pareti, una finestra e tronchi d’albero stilizzati; l’attrezzeria, tre sedie, una poltrona e due letti). Una nuova generazione si appresta a compiere ciò che alla precedente non è riuscito: porre ordine in un mondo ove tutti aggirano le regole. Una versione drammaturgica e musicale che segna una pietra miliare nell’interpretazione de “L’Anello” wagneriano.
A “Idomeneo”, Olivier Py (geniale direttore de l’”Odéon” di Parigi) dà, con Mark Minkowski e Les Musiciens du Louvre, una lettura chiaramente politica: non siamo nella omerica Creta ma in una città tecno-barocca dove sbarcano immigrati di tutte le etnie. Il giovane Idamante (Yann Beuron), innamorato di una Ilia color ebano (la belga Sophie Karthäuser), porta armonia in questo caos prendendo il trono e ridimensionando un Grande Sacerdote tutore di un vecchio ordine diventato disordine.
In “Orfeo all’Inferno” (farsa di corna e lenzuola con una partitura smagliante) , Offenbach, nel 1858, prendeva in giro il Secondo Impero i cui Dei facevano, brunettamente parlando, i fannulloni nell’Olimpo ma , costretti da una Pubblica Opinione dipietrista, a tentare di mettere ordine in un Inferno dove si cornifica eccessivamente, trasformano anche L’Ade in un vero postribolo. Attenzione – ammicca Offenbach – i giovani al potere rischia di essere un mero slogan se Giove e Giunone continuare a fare i burattinai.

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