lunedì 22 giugno 2009

LE TRE SFIDE DELLA DISOCCUPAZIONE in Ffwebmagazini del 22 giugnp

I dati pubblicati dall'Istituto nazionale di statistica sulle forze di lavoro il 19 giugno meritano un’analisi più approfondita di quella apparsa sino ad ora sulla stampa poiché forniscono indicazioni sia sulle politiche per uscire dalla crisi sia su quelle da adottare nel dopo-crisi.
Veniamo, in primo luogo statistiche. Nel primo trimestre 2009 l'offerta di lavoro ha registrato, rispetto allo stesso periodo del 2008, un incremento dello 0,1% (17.000 unità). Rispetto al quarto trimestre 2008, al netto dei fattori stagionali, l'offerta di lavoro si riduce dello 0,1 per cento. Nel primo trimestre 2009 il numero di occupati risulta pari a 22.966.000 unità, segnalando un dato negativo (-0,9 %, pari a -204.000 unità su base annua). Il calo sintetizza la discesa di 426.000 unità della componente italiana e la crescita di 222.000 unità di quella straniera. In termini destagionalizzati e in confronto al quarto trimestre 2008, l'occupazione nell'insieme del territorio nazionale registra una flessione pari allo 0,3 %. Il tasso di occupazione della popolazione tra 15 e 64 anni scende di nove decimi di punto percentuale rispetto al primo trimestre 2008, portandosi al 57,4 %. Il numero delle persone in cerca di occupazione registra il quinto aumento tendenziale consecutivo, portandosi a 1.982.000 unità. Il tasso di disoccupazione passa dal 7,1 per cento del primo trimestre 2008 all'attuale 7,9 per cento. Rispetto al quarto trimestre 2008, al netto dei fattori stagionali, il tasso di disoccupazione aumenta di 3 decimi di punto.
In primo luogo, è utile raffrontare l’incremento della disoccupazione (in termini tecnici della percentuale di coloro che hanno fatto negli ultimi mesi ricerca attiva di occupazione sul totale di coloro che possono e vogliono lavorare – le forze di lavoro) in Italia rispetto agli principali Paesi. Il grafico seguente illustra l’andamento del tasso di disoccupazione (in punti percentuali delle forze lavoro) alla fine del primo trimestre 2009 rispetto a 12 mesi prima.

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Il raffronto è eloquente. L’Italia non è inclusa per due motivi : il dato è stato pubblicato leggermente più tardi (rispetto ad altri Paesi), l’aumento della disoccupazione è stato tutto sommato contenuto , rispetto agli 8 punti percentuali della Spagna , ai 4 della Russai e degli Usa e dei 2 della Gran Bretagna, Canada e molti altri. Il tasso di disoccupazione, quale omogeneizzato secondo la metodologia Eurostat, resta, in Italia, inferiore a quelli segnati nella media dell’area dell’euro (7,9% rispetto 9,2%). Ciò vuol dire che il nostro sistema produttivo, basato su piccole e medie imprese, su imprese-rete, su distretti, su un alto grado d’industria manifatturiera sta “reggendo” bene. E che gli stessi tanto criticati “ammortizzatori” stanno dando buona prova.
Non è, però, tempo di facili compiacimenti. Governo, Parlamento e società italiana in senso lato hanno tre sfide a cui rispondere. Sono sfide destinate a diventare più acute nel tempo a ragione del fenomeno dell’isteresi – ossia del “trascinamento”, tipo di qualsiasi recessione – la ripresa della produzione precede di mesi quella dell’impiego.
La prima riguarda le finanze pubbliche. In vario modo, l’Europa, e l’Italia in particolare, ha accettato mercato di lavoro più flessibili (all’entrata ed all’uscita) sulla base di maggiori tutele in caso di perdita dell’occupazione – “il lato sicurezza del patto” (per utilizzare il lessico di Jakob von Weizsäker l’economista che anima Bruegel, un “think tank” basato a Bruxelles). E’ un “lato” che costa, specialmente a fronte di un calo delle entrare fiscali del 5% nell’area dell’euro nel 2009 (e del 7% circa in Italia). Governi e Parlamenti devono effettuare scelte severe a fronte di settori come il sociale dove le risorse sono sempre più scarse ed altri dove invece da lustri si accumulano residui.
La seconda riguarda la coesione. Tra Paesi ed all’interno dei singoli Paesi, il “lato sicurezza del patto” non è distribuito con equità. In tutta l’area dell’euro, ad esempio, l’industria automobilistica ha ottenuto sostegni all’occupazione ed ammortizzatori maggiori e migliori di altri. Non è questa la sede per analizzare se ed in quale misura tale “preferenza” sia giustificata. E’ doveroso, però, indicare che le diseguaglianze sono fonti di tensioni e che Governi e Parlamenti dovrebbe smussarle non solo per motivazioni di etica sociale ma anche per l’aspetto pratico che le tensioni complicano qualsiasi “exit strategy” (dalla crisi) venga adottato e rendono più difficile il disegno del “dopo-crisi”.
La terza sfida riguarda la tentazione di ripetere quanto fatto tra la fine degli Anni 70 e l’inizio degli Anni 80 ed all’inizio degli Anni 90: favorire la fuoruscita dalla forza di lavoro con prepensionamenti e misure analoghe. Oltre ai costi finanziari (la prima sfida), ciò ha un costo sociale elevatissimo in termini di contrazione del pool di lavoratori europei con esperienza e di perdita di competitività.

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