lunedì 2 marzo 2009

L'UNIONE MONETARIA NELLA MORSA TRA USA E INSTABILITA' , Il Tempo del 2 marzo

La colazione di lavoro dei 27 Capi di Stato e di Governo tenuta ieri primo marzo 2009 a Bruxelles (a meno di tre settimane dalla sessione del Consiglio Europeo del 19-20 marzo) riguardava solo in apparenza la situazione finanziaria dei Paesi neo-comunitari (specialmente dell'Europa centrale ed orientale). Il nodo centrale è il futuro dell'unione monetaria europea (Ume). L'Ume è oggettivamente in una morsa. Da un lato, all'interno, le tensioni derivanti in parte dal “contagio” dai Paesi neo-comunitari ed in parte dalla sostanziale sospensione e del “patto di stabilità” e delle regole su concorrenza ed aiuti di Stato. Dall'altro, dall'estero, la politica economica degli Stati Uniti: con tassi d'interesse rasoterra (0,5% per i titoli a tre mesi, 2,9% per quelli a 10 anni), con un'offerta di moneta (M3) che galoppa attorno al 10% l'anno, con un disavanzo dei conti con l'estero pari al 5% del pil (nonostante contrazione di consumi e di import) e con un disavanzo del bilancio federale previsto per il 2009 in oltre 12,5% del pil minaccia un ulteriore abbassamento del valore internazionale del dollaro Usa ed un'onda sostenuta d'inflazione.
Agli Stati Uniti obamiani , l'Ume e l'Ue non interessano più di tanto; preoccupano ancora meno i neocomunitari nella convinzione che se ne debba prendere carico l'Ue che (allora guidata da Romano Prodi) ha interpretato in modo lasco i propri trattati pur di accoglierli. Martin Feldstein (a lungo Presidente del National Bureau of Economic Research, nonché ben due volte Capo del Comitato dei Consiglieri Economici della Casa Bianca) ha scritto, in tempi non sospetti (15 anni fa), che l'UME aveva germi che avrebbero portato ad una sua dissoluzione conflittuale. Lo ha ribadito all'inizio di gennaio a San Francisco all'Assemblea Annuale dell'American Economic Association in uno studio pubblicato la settimana scorsa. Un'analisi riservata dell'Economist Intelligence Unit (Eiu) pone numerosi Stati neocomunitari tra i più “contagiosi” a ragione del forte indebitamento a breve (oltre 400 miliardi di euro) e dell'elevato tasso di titoli “tossici” nelle loro banche; alcuni neocomunitari sperano in procedure accelerate d'ammissione nell'euro, poiché l'Ume farebbe loro da corazza. Un'analisi del servizio studi della Banca centrale europea (Bce) mette in guardia contro questa ipotesi: i “germi” di cui ha parlato Feldstein sguazzerebbero in un'Ume indebolita dalle tossine tanto più che nessuno più crede negli antibiotici del “patto di stabilità”. Negli ultimi 50 anni, una dozzina di unioni monetarie si sono sfaldate. Ricordiamocelo.
L'Italia deve fare sentire chiara e forte la propria voce: per salvare l'Ume, non solo i singoli Stati membri, non c'è che una strada, quella del rigore e di nuove regole per maggiore trasparenza nella finanza internazionale.

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