sabato 21 febbraio 2009

VIAGGIO NELLA SPERANZA .PER LA MUSICA Il Domenicale 21 febbraio


Chi ricorda “Notte e Nebbia”, un documentario di 32 minuti con cui nel lontano 1955 l’allora giovane Alain Resnais aprì la “nouvelle vague” del cinema francese? Era per i nove decimi in bianco e nero, costruito su materiali d’archivio ed imperniato su tre date: 1933 (avvento del nazismo), 1942 (inizio del sistematico genocidio degli ebrei), 1945 (chiusura dell’ultimo lager). Per circa un decimo a colori girato in Polonia durante la preparazione del film. Statiche le immagini in bianco e nero. Inquadrature dinamiche quelle a colori. L'alternanza di bianco e nero e di colore, ed il differente uso della macchina da presa, contrapponeva passato e presente; mentre le immagini si facevano più drammatiche, la musica di commento diventava più dolce. Renais- aveva mutuato il titolo da una parola d’ordine Nacht und Nebel (appunto: notte e nebbia), che avrebbe dovuto significare come della Shoa non sarebbe dovuta restare traccia.

Il breve film di Renais mi è tornato più volte in mente nel corso della tournée dell’Orchestra Sinfonica-Fondazione Roma (Os.Fr) in Germania e Polonia. Non solamente perché la tournée ha comportato un concerto a Cracovia e una visita (da parte di tutta l’orchestra) ai campi di sconcertamento di Auschwitz e di Birkenau. Ma anche in senso metaforico: la musica colta italiana sta per essere avvolta da un manto di notte e nebbia che può essere rotto facendo leva su orchestre giovani e private, avvezze a lavorare non nel mercato dei sempre più esigui contributi pubblici ma in quello, molto più vasto, in cui l’apporto delle pubbliche amministrazioni è ingrediente di un disegno che fa leva sul mecenatismo, sulla biglietteria, sul confronto internazionale.

L’Os.Fr, da molti snobbata quando circa sette anni fa è nata a conclusione di un corso di formazione per giovani orchestrali, il 4 febbraio scorso, alla Philarmonie di Berlino (forse la più autorevole sala di concerti nel mondo, certamente la più prestigiosa in Europa) è stata invitata tra le prime formazioni di una serie di concerti per i 20anni dalla caduta del muro. Francesco La Vecchia ha diretto un concerto ispirato all’amicizia tra Germania ed Italia: nella prima parte, oltre alla notissima sinfonia de “I Vespri Siciliani” di Giuseppe Verdi, tre lavori di Giuseppe Martucci (colore orientale, notturno, tarantella), compositore su cui si è voluto calare una fitta coltre d’oblio; nella seconda parte il poema sinfonico di Richard Strauss (di cui ricorrono 60 anni dalla morte) “Aus Italien”(“All’ Italia). La sala, circa 1800 posti, era gremita. C’è stata una vera e propria “standing ovation”: tutti in piedi come in uno stadio (usanza niente affatto tedesca) a domandare bis. Quindi, l’Os-Fr ha eseguito pure l’”intermezzo” di “Cavalleria Rusticana” di Pietro Mascagni e la parte finale della sinfonia del “Guglielmo Tell” di Giacchino Rossini. I lavori di Martucci e di Strauss sono poemi sinfonici nello stile degli ultimi anni del XIX secolo; quelli di Verdi e Rossini sono inni alla libertà particolarmente adatti alla ricorrenza.

Quando è iniziata l’avventura dell’orchestra, pensare di fare nascere una formazione sinfonica privata con un gruppo di giovani appena usciti dai conservatori, era considerato poco credibile. Pure perché “i ragazzi” ed il loro animatore, Francesco La Vecchia non andavano con il cappello in mano dalle pubbliche amministrazioni ma speravano di farcela con il contributo di privati e con gli incassi. Il progetto era di portare altri giovani ad ascoltare la “musica colta” con una politica di bassi prezzi, coniugando il repertorio più popolare, del Settecento e dell’Ottocento con la sinfonica del Novecento, e con qualche spruzzo di contemporaneità.

La Fondazione Roma è il mecenate che ha creduto nel progetto: stanzia quasi 5 milioni d’euro l’anno( a titolo di raffronto il bilancio dell’Accademia di Santa Cecilia supera i 25 milioni d’euro l’anno, di cui due terzi da enti pubblici). Ora l’Os.Fr ha una stagione da novembre a giugno all’auditorium di Via della Conciliazione (1200 posti) a Roma: vi suona le domeniche pomeriggio alle 17,30 ed i lunedì sera alle 20,30. La sala strabocca di giovani (ed anche d’anziani) a ragione della politica di prezzi: per 30 concerti, l’abbonamento è € 280 (poco più di un posto in platea o palco per una sola serata alla Scala), ma per gli studenti è € 90 e per chi ha più di 65 anni € 160. Per i singoli concerti, il biglietto è € 18, quello ridotto € 10. La vera carica innovativa è nei programmi che combinano Nono con Schubert, Stravinskij con Bruckner, Casella con Brahms, Ciacovskil con Malipiero, Liszt con Shostakovich, Mahler con Dukas eseguiti da una formazione stabile di 90 strumentisti di cui due terzi circa hanno meno di 30 anni d’età. Una ventata d’aria nuova che mancava nella capitale da quando è stata chiusa la sezione romana dell’orchestra sinfonica della Rai. Una ventata che ha innescato competizione in un comparto spesso refrattario tanto alla concorrenza quanto alla cooperazione tra istituzioni. I costi di produzione sono tenuti bassi da un organico amministrativo all’osso. L’autorevolezza si è imposta a ragione della consacrazione internazionale. Da un canto direttori stranieri di livello (come Gunter Neuhold, Lior Shamdal, Amos Talmon) hanno spesso guidato l’Os-Fr. Da un altro, orchestre straniere importanti come i Berliner Sinfoniker sono state ospiti dell’Os-Fr. Da un altro ancora, l’orchestra è stata invitata ripetutamente ad esibirsi all’estero.

Il successo di Berlino si è ripetuto a Cracovia la sera del 6 febbraio. Il concerto è stato aperto dal “Carnevale Romano” di Hector Berlioz con il quale il compositore francese (che aveva studiato a Roma) intese salvare, nel 1844, almeno parte dell’opera “Benvenuto Cellini” che non trovava teatri disposti a rappresentarla. Dopo i tre brevi ma affascinanti poemi sinfonici di Martucci e la sinfonia de “I Vespri Siciliani” di Verdi, è stato suonato il grandioso, e difficilissimo, poema sinfonico “I Pini di Roma” d’Ottorino Respighi. Il lavoro di Respighi, relativamente poco noto a Cracovia, è quello che forse più ha colpito il pubblico polacco. E’ una partitura molto complessa, che richiede un organico molto vasto (e strumentisti in grado d’essere ciascuno un solista). Respighi prende l’avvio dai giochi di bambini a Villa Borghese, per poi evocare i pini che coprono con la loro ombra le catacombe e quelli al vento del Gianicolo e per finire con una marcia solenne di consoli, aristocratici e soldati della Roma antica filtrata attraverso i sentimenti di chi, nel 1924, passeggia sulla Via Appia. L’esecuzione ha scosso un pubblico avveduto: a Cracovia c’è un’intesa vita musicale: un teatro d’opera di repertorio (la cui architettura ricorda il Palais Garnier di Parigi) ed una sala di concerti in stile neoclassico (costruita all’inizio del XX secolo e restaurata ne 1980) a pochi passi dal Palazzo Arcivescovile dove ha vissuto per decenni Karol Wojtila.

Terza e ultima tappa Ludwigshaven, un centro industriale ai confini tra la Renania-Palatinato ed il Baden-Wuttemberg. Sede di una delle più antiche industrie chimiche, la BASF, ha un auditorium, costruito all’inizio del secolo scorso; in stile neoclassico, per mille spettatori. In passato, vi hanno diretto, tra gli altri, Richard Strass e Bruno Walter. Ora è al centro di un consorzio o associazione di sale da concerto (a Linburghof, Heidelberg, Mannhein, Landau, Speier, Bensheim) che offre una vasta gamma di musica (non solo sinfonica, ma anche cameristica, recital, lirica in versione da concerto ed anche operette e jazz) per soddisfare i gusti di varie categorie. Emergono due considerazioni: a) la collaborazione tra pubblico e privato; e b) la cooperazione-competizione che s’innesca tra le varie componenti del consorzio. La stagione comporta una cinquantina di concerti; è stata aperta da Gustav Dudamel ed eseguita dalla Sinfonica Venezuelana. La Mahler Chamber Orchestra è stata scelta come “orchestra di beneficenza” (i proventi dei concerti vanno in attività caritatevoli). L’Os.Fr è l’”orchestra ospite” della stagione (che si estende sino a fine maggio). Il programma presentato dall’Os.Fr a Ludwisghafen, è leggermente differente da quelli offerti a Berlino e Cracovia: include il raramente eseguito “Concerto gregoriano per violino ed orchestra” di Ottorino Respighi. Solista uno dei violinisti più apprezzati a livello internazionale, il russo Serghej Krylov – ascoltato tra l’altro all’auditorium Paganini di Parma. Il pubblico è stato entusiasta: ovazioni e richieste di bis sia a Krylov che a La Vecchia.

Dalla cronaca di un viaggio appassionante con circa 100 giovani entusiasti ed il loro direttore, tiriamo le somme in termini di politica culturale, riprendendo da quel riferimento alla notte ed alla nebbia in cui sembrano stare la arti dal vivo in generale e la musica in particolare. Striscioni di protesta sulla ormai imminente “morte della cultura” si leggono in quasi tutti i teatri. Tre delle 14 fondazioni lirico-sinfoniche sono commissariate, altre due sul punto di esserlo. Franco Zeffirelli ha proposto di chiudere i teatri per un anno. La notte non potrebbe essere più scura e la nebbia più fitta. L’esperienza ed il successo dalla Os.Fr mostrano che c’è uno sprazzo di luce da cui emergono indicazioni precise:

a) una maggiore collaborazione tra pubblico e privato. Il Ministro Bondi sta lavorando ad una revisione della normativa sugli sgravi fiscali per le donazioni alle attività culturali. Occorre pensare ad un sistema di “matching grants”: il contributo pubblico affianca quello privato in misura ad esso equivalente. I Festival di Aix-en-Provence e Glyndebourne si finanziano, ad esempio, per un terzo grazie al mecenatismo, per un terzo grazie al supporto pubblico, e per un terzo grazie alla biglietteria, le tournée e la vendita di spettacoli.

b) una più intensa cooperazione tra istituzioni al fine d’effettuare sinergie e proporre una gamma più vasta di offerta agli spettatori.

c) un incoraggiamento speciale per le orchestre giovani e per quelle che si dirigono ad un pubblico giovane.

d) prendere esempio infine da Piero Bargellini, sindaco di Firenze, quando nel novembre 1966, agli Uffizi con il fango sino alle ginocchia disse a voce alta: “Non è tempo di piagnistei”.

Con i piagnistei, la nebbia diventa più fitta.

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