venerdì 27 febbraio 2009

LA CRISI FINANZIARIA MINACCIA L’UE PIU’ DI QUANTO POSSA PENSARE L'Occidentale 27 settembre

Quando, domenica primo marzo 2009, i Capi di Stato e di Governo dell’Unione Europea (Ue) si incontreranno a colazione nel piuttosto anonimo palazzone Justus Lipsius (un filologo ed umanista fiammingo del XVI secolo) per una seduta straordinaria del Consiglio Europeo, il loro obiettivo sarà quello di tentare di forgiare una posizione comune prima di presentarsi al resto del mondo alla riunione del G20 in programma il 2 aprile a Londra. I “quattro grandi” dell’Ue (Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia) hanno svolto il loro compitino preparatorio con una colazione di lavoro la domenica precedente a Londra: ne è uscito un invito forte a chiaro a favore di una nuova regolazione internazionale- di cui sarebbe elemento servente una riforma del Fondo monetario, Banca mondiale, Financial Stability Forum ed un’altra mezza dozzina di organizzazioni internazionali. La posizione dei “quattro” è, senza alcun dubbio, utile poiché traccia una prospettiva ed indica una direttiva per i 27 – prospettiva e direttiva molto più chiare e molto più lineari da quelle che si deducono dal “Messaggio sullo Stato dell’Unione” presentato all’inizio della settimana dal Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, al Congresso. Data la sua posizione nella comunità internazione, l’Ue ha senza dubbio un dovere, prima ancora che un titolo, a presentare i lineamenti di un percorso per uscire dalla crisi. Specialmente se, in materia, gli Usa obamiani sono contradditori, e guardano più ai loro problemi interni che al resto del mondo.
La colazione di lavoro – ci auguriamo, per i 27 Capi di Stato e di Governo, che i cuochi vengano dal raffinatissimo “La Maison du Cigne”, da lustri il miglior ristorante di Bruxelles (e dell’Europa)- dovrebbe servire ai Capi di Stato e di Governo per riflettere su un tema poco dibattuto: la crisi finanziaria sta minacciando l’Ue in quanto Unione oltre che i singoli Stati, alcuni settori (quello dei servizi finanziari in primo luogo, ma anche il manifatturiero), l’economia reale in senso lato e l’occupazione.
La crisi è una mina per le istituzioni dell’Unione. Proprio mentre i “grandi” a Berlino delineavano una strategia di regolazione “mondialistica” (e si mostravano contrari a nazionalizzazioni bancarie, ed a “bad banks” sia nazionali sia multilaterali) dai cassetti della Commissione Europea bozze di direttive che invece prevedevano proprio nazionalizzazioni bancarie e “bad banks”. La Gran Bretagna, a Berlino, si è mostrata uniti agli altri “grandi”; a Londra, a Washington ed a Bruxelles, invece, sfoggia (ed a volte ostenta) posizioni “atlantiche” in tema di nazionalizzazioni e “bad banks”. Quindi, in seno al Consiglio Europeo neanche i quattro “grandi” sono uniti; e c’è chi fa due parti in commedia. Inoltre, all’Ecofin nessuno ha ripreso in mano il dossier dal “rapporto Lanfalussy” del dicembre 2007, che contiene suggerimenti operativi concreti per rimettere ordine nel groviglio di regolazione e vigilanza in materia di servizi finanziari tra i 27 Stati Ue; un percorso verso un riordino (se non è fattibile effettuare almeno i primi passi del riordino) è indispensabile per mostrare che l’Ue è in grado di parlare con una sola voce (o almeno all’unisono) al G20 oppure in altre sedi dove si tenta di tamponare e, se possibile, curare la crisi. Ove ciò non bastasse, l’architettura tratteggiata dai quattro “grandi” e la riforma di Fondo monetario, Banca mondiale e via discorrendo non sfiora il nodo che da dieci anni blocca analoghi piani di riassetto: in tali sedi, l’Ue avrà un seggio a titolo di Unione? Oppure Francia, Germania e Gran Bretagna conserveranno, in perpetuità, i loro seggi permanenti (da cui spesso emergono posizioni differenti) e l’Unione sarà una sorta di “fantasma dell’opera”? E l’Italia dovrà accontentarsi di uno strapuntino a mezzadria con Polonia, Grecia, Cipro, Malta e via discorrendo? In aggiunta, ci sono una varietà di problemi immediati che riguardano i Paesi neocomunitari , alcuni indebitatisi sino al collo con titoli spazzatura nell’euforia di correre dal piano al mercato. Alcuni (Ungheria) pensano di risolverli con un ingresso accelerato nell’unione monetaria: l’euro farebbe da corazza socializzando il debito con gli altri membri del club (ma questi ultimi sono d’accordo?). Altri (Lettonia) progettano di dichiarare fallimento (come l’Islanda)- una mossa che, bene o male, inficerebbe la credibilità dell’Unione tutta. Dato che la crisi (sia finanziaria sia economica) morde soprattutto in Europa centrale ed orientale – l’allargamento frettoloso tanto voluto da Romano Prodi - , per tamponarne questo o quello aspetto si sono caricate la Banca europea per gli investimenti (Bei) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (Bers) con una marea di compiti nuovi (che non paiono fare parte di un programma organico e senza che Bei e Bers abbiano le risorse, soprattutto, in personale per svolgerli); Bei e Bers rischiano di finanziare operazioni avventati con danni collaterali al loro prestigio che minacciano di durare a lungo.
Un invito ai convitati: tra un “homard” ed una “crème patissère” riflettete su questi temi.

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