giovedì 11 dicembre 2008

SCALA: IL MIGLIOR “DON CARLO” E’ QUELLO PER I GIOVANI, Milano Finanza 12 dicembre

Le cronache dell’inaugurazione della stagione 2008-2009 della Scala riguarderanno probabilmente più l’entusiasmo dei 1800 giovani (di età inferiore a 26 anni) a cui è stato riservato lo spettacolo del 4 dicembre (la vendita di biglietti si è esaurita in meno di cinque minuti e molti dei giovani che affollavano platea, palchi e loggione loro non avevano mai assistito ad un’opera lirica) più che le pellicce ed i gioielli la sera di Sant’Ambrogio. Il giovane pubblico ha risposto in modo entusiasta – dimostrazione che il teatro in musica attira ma anche che la domanda è molto elastica ai prezzi- anche se agli occhi ed alle orecchie dei veterani dei palcoscenici la nuova produzione del “Don Carlo” non è parsa priva di problemi. Che avranno anche seguiti giudiziari a ragione dell’inattesa sostituzione del tenore (Giuseppe Filianoti) ufficialmente impegnato per tutte le repliche (sino al 15 gennaio) e per la tournée settembrina in Giappone.
Lascia perplessi la drammaturgia (regia e scene: Stéphane Braunschweig, costumi Thibault van Craenenbroeck). Regista e costumista hanno dato ottime prove con lavori di Wagner, Janáček , Strauss ma non si accostano a Verdi con successo. Già il “Rigoletto” del 1999 suscitava perplessità con quel fondale rosso e le bare sempre in scena. La versione 1884 del “Don Carlo” comporta una lettura intimista (priva dell’afflato storico-politico degli spettacoli viscontiani e zeffirelliani in edizioni della versione 1886 dell’opea). Braunschweig è maestro di recitazione: tutti, pure i comprimari, recitano efficacemente. In un ambiente stilizzato ed atemporale (il coro è in costumi “odierni”) e con l’aggiunta di simboli stucchevoli (i tre personaggi “buoni” hanno “doppi” d’età infantile), svanisce il senso del lavoro: la perdita delle illusioni e la crisi dei sentimenti (si salva solo l’amicizia virile tra Don Carlo e Don Rodrigo, troncata, però, dai cecchini). Si perde, poi, l’ambiguità presente in tutte e tre le versioni dell’opera: un finale “aperto” a più interpretazioni. Invece, Carlo V sorge dalla tomba ed i due amanti muoiono (o hanno un attacco di catalessi) mentre i reprobi chiedono pietà a Domineddio. L’opera più anticlericale di Verdi diventa un apologo per educande in un impianto scenico che non utilizza la tecnologia dell’ipermoderno palcoscenico della Scala.
Buona la concertazione (un po’ diluita) di Daniele Gatti. Ottimo il coro guidato da Bruno Casoni. Stuart Neill chiamato, all’ultim’ora, a sostituire il protagonista designato (Giuseppe Filianoti) ha volume ed acuti da riempire platea, palchi e loggione ma con la sua enorme mole è poco credibile nel ruolo del giovane e tormentato “infante” di Spagna. Impeccabile, ma gelida, Fiorenza Cedolins nel ruolo di Elisabetta di Valois. Dalibor Jenis è un Don Rodrigo privo della morbidezza richiesta ai baritoni “verdiani”. Perfetti i due veterani Dolora Zajick (a cui l’età ha portato via l’avvenenza di un tempo) nel ruolo della Principessa Eboli e Ferruccio Furlanetto in quello di Filippo II. Buoni gli altri. In breve, uno spettacolo più adatto ad una diurna domenicale a Francoforte che all’inaugurazione della stagione in quello che vuole essere il Tempio Mondiale della Lirica.

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