giovedì 4 dicembre 2008

QUEI NESSI TRA DON CARLO E BETULIA LIBERATA, 4 dicembre

Roma, 4 dic (Velino) - Pochi hanno notato, pure nel ristretto mondo di chi si interessa di musica, che quasi alla vigilia dell’inaugurazione della stagione 2008-2009 alla Scala con il “Don Carlo” di Giuseppe Verdi, a Roma è stata presentata la prima edizione critica di un lavoro di Pasquale Anfossi, musicista da molti citato (sarebbe anche un ispiratore di Mozart) ma di cui molto poco ci è rimasto: “La Betulia Liberata” su testo del Metastasio, ritoccato per l’occasione da Giuseppe Bianchini. Quali nessi ci sono tra i due lavori? Il “Don Carlo”, specialmente nella versione in cinque atti e nel mirabile allestimento del 1965 di Luchino Visconti per l’Opera di Roma rappresenta la dissoluzione degli Asburgo di Spagna all’epoca della Controriforma e della secessione di quelle Province Unite che diventeranno i Paesi Bassi. La “Betulia Liberata” di Metastasio-Anfossi venne concepita attorno al 1780 per l’Oratorio dei Filippini, parte integrante di quella che oggi viene chiamata la Chiesa Nuova a corso Vittorio Emanuele II, in una Roma in cui i conflitti per la successione asburgica alla corona d’Austria avevano accentuato le tensioni all’interno della Città Eterna tra i “giansenisti” da un lato (i Filippini non lo furono mai in senso integrale, ma ne furono collaterali) e gli ortodossi dall’altro; tra il primato teologico-politico del magistero della Chiesa romana da una parte e il clero della periferia, l’aristocrazia e la borghesia, quest’ultima emergente in tutta Europa, quindi anche nel Lazio e nel resto del dominio temporale del Papa Re, dall’altra.
La Chiesa –come scrive il curatore della collana Mario Valente nel saggio introduttivo alla partitura – si pose come grande mediatrice tra interessi contrapposti sia nel proprio regno temporale sia tra le case regnanti d’Europa. Una situazione che ha più di un’analogia con il “Don Carlo” in cui il Grande Inquisitore ha più potere dell’Imperatore. Quando Filippo II chiede scusa al prelato cieco e gli domanda se un giorno potrà essere perdonato per non avere consegnato il proprio figlio, l’infante Don Carlo, agli inquisitori per eresia, gli viene risposto: “peut-etre”, “forse”. Per riaffermare il primato anche politico della Chiesa, l’oratorio musicato da Anfossi per i Filippini si conclude con un aria di Giuditta a Maria “donna forte” e invincibile: un messaggio neppure troppo cifrato nei confronti sia delle case reali europee sul ruolo che Roma era convinta di dovere esercitare nella successione asburgica, sia della aristocrazia e della borghesia.
Tale aria, si badi bene, non c’è né nel testo originale metastasiano né nelle altre versioni messe in musica da calibri importanti quali Jommelli e Leoni. Il messaggio è tanto più forte poiché nella vicenda biblica, ovviamente, non c’è e non ci può essere traccia della Vergine. Siamo in un contesto storico in cui solamente pochi anni prima era stata sciolta la Compagnia di Gesù e ne erano stato confiscati i beni in quanto il Papato vedeva con preoccupazione il crescente potere dei gesuiti. Un periodo tutto da scoprire e con importanti nessi con altri momenti della storia d’Italia e d’Europa. L’edizione critica di “Betulia Liberata” è l’occasione per una riflessione più ampia che dovrebbe interessare anche la stampa quotidiana

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