martedì 23 dicembre 2008

DONNE E PENSIONI, IL GRIMALDELLO DI BRUNETTA, Il Tempo 23 dicembre

Chi ha partecipato al Consiglio dei Ministri del 18 dicembre sussurra che la proposta del Ministro dell’Innovazione e della Funzione Pubblica, Renato Brunetta (sull’età legale per il pensionamento di vecchiaia delle donne), ha avuto un’accoglienza fredda, ove non gelida. Lo stesso Presidente del Consiglio, nella conferenza stampa di fine anno, ha affermato che il tema verrà affrontato con gradualità. Lo spettro dell’inverno 1994 (e delle manifestazioni sullo schema di riassetto della previdenza) incombe ancora su Palazzo Chigi ; come diceva Jean Paul Sartre, molte parole che iniziano con la “p” non si pronunciano in pubblico. “Pensioni” è una di queste.
Sono stati sciorinati studi ( dell’Eurostat e del Laboratorio Revelli del Collegio Carlo Alberto di Moncalieri) per indicare che in Italia l’età effettiva di pensionamento è in pratica molto simile per i lavorati di genere femminile e per quelli di genere maschile; la transizione verso il sistema di calcolo contributivo per le spettanze e la crescente consapevolezza che l’indicizzazione copre soltanto parte dell’aumento del costo della vita inducono le donne a restare nel mercato del lavoro molto più di quanto non lo faccia l’età legale per la pensione di vecchiaia. Dati alla mano, si è sostenuto che le donne italiane non entrano nell’impiego perché a casa fanno il 73% del lavoro domestico (compresa la cura dei figli) rispetto al 62% delle americane (il resto è affidato ai mariti); se non si cambiano prassi in questo campo, sarà difficile aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro nell’età più produttiva.
Tutto corretto (e confermato da un’analisi prodotta la settimana prima di Natale dall’Istituto federale tedesco di studi sul lavoro). Ciò nonostante, la vera portata della proposta non è nel rispondere positivamente ad una sentenza della Corte di Giustizia Europea o nell’aprire la strada a potenziali risparmi di spesa ed a maggiore partecipazione femminile nel mercato del lavoro ma nel fornire al Governo ed al Parlamento un grimaldello per scacciare lo spettro dell’inverno 1994 e riaprire la scatola delle riforme previdenziali.
Lo impongono due elementi: a) le riforme iniziate nel 1995 sono incompiute, specialmente perché prevedono una transizione molto lunga (18 anni , e circa 30 anni per le pensioni di reversibilità, mentre in altri Paesi, ad esempio in Svezia, processi analoghi sono state effettuati in tre anni); b) la crisi finanziaria mondiale ed il rallentamento dell’economia reale ci pongono di fronte ad uno scenario molto differente rispetto a qualche anno fa. Non riaprire la scatola delle riforme previdenziali vuole dire porre il costo del riassetto necessario interamente sulle generazioni più giovani e sulle fasce più deboli (tra cui le donne) facendo fruire rendite alle categorie più avanti con l’età e meglio protette sotto il profilo sindacale (per i due terzi di genere maschile).

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