sabato 29 novembre 2008

TRE POSSIBILI SOLUZIONI ALLA CRISI DELLE FONDAZIONI LIRICHE, Il Domenicale 19 novembre

Quella delle fondazioni liriche è una crisi annunciata. “Il Dom” vi ha dedicato una serie d’articoli sin 2005 ed un’analisi dettagliata nel numero del 22 novembre. Chi scrive aveva espresso in tempi non sospetti serie perplessità sulla normativa alla base dell’attuale assetto (Legge Veltroni) quando è stato varato circa 12 anni fa e ha documentato, anche sulla base della sua esperienza nella veste di Vice Presidente di un teatro lirico, gli effetti. Ne ha preannunciato gli ultimi sviluppi, in un breve saggio pubblicato sul periodico “Musica” nella primavera 2006. Quindi, nulla di nuovo sotto il sole. La diagnosi resta immutata: in un Paese dove non si fa politica della cultura musicale da circa 70 anni, le fondazioni liriche (di diritti privato) sono in uno stato comatoso: sono necessariamente fragili (prive di un “sottostante” culturale che dia loro un forte supporto pubblico) e sono travolte dalla più piccola crisi dei conti pubblici, anche di origine internazionale.
A fronte della diagnosi essenzialmente immutata, del commissariamento di tre fondazioni su 13 (e dell’imminente commissariamento di una quarta), di manifestazioni e scioperi in tutti i teatri, le soluzioni diventano più urgenti. Esse non possono non tenere conto del “morbo di Baumol” (dal nome dell’economista, William Baumol, che negli Anni 60 ha scritto un fondamentale trattato sul settore): in un mondo di rapido progresso tecnologico, senza supporto pubblico (tramite sovvenzioni o sgravi tributari adeguati alle elargizioni filantropiche) la lirica muore (i teatri tedeschi hanno sovvenzioni che coprono mediamente il 90% dei costi e sono sempre pieni grazie ad un “sottostante” diffuso, popolare ed attivo). Per l’Italia, dove 400 anni fa è nato il teatro in musica, ciò vuol dire una perdita pesante di patrimonio nazionale. In sintesi, le soluzioni possibili sono le seguenti:
· Una revisione drastica della normativa sulle fondazione che comporti un ripensamento del loro status giuridico ed una riduzione del loro numero (eliminandone un paio o per eccessiva contiguità territoriale con altre o perché hanno masse artistiche- orchestra, coro- qualitativamente al di sotto della media di buoni teatri europei).
· Imporre per legge una gestione delle fondazioni restanti basata sul binomio cooperazione-competitizione. Cooperazione vuole dire dare vita ad un cartellone nazionale con forti risparmi negli allestimenti e nei cachet degli artisti ed evitare che ciascuna fondazione miri a stagioni simili a mini-festival autoreferenziali. Competizione vuole dire premiare le fondazioni che, in base ai risultati di biglietteria e le valutazioni tecniche di una commissione internazionale, sappiano coniugare consuntivi in pareggio ed alta qualità.
· Trasferire, nell’ambito del federalismo, alle Regioni “i teatri di tradizione”, i l”lirici sperimentali”, le “scuola d’opera” e simili. Gli eletti regionali decideranno se dare priorità al patrimonio lirico nazionale od alle fiere del carciofo gigante. Ed i loro elettori li giudicheranno.
Questo è naturalmente lo scheletro di un’architettura più complessa da elaborare, se i principi di base sono accettati, in collaborazione con Presidenti delle Regioni, Sindaci, sovrintendenti e sindacati. E ciò che sta facendo il Ministro Bondi.

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