domenica 16 novembre 2008

OGGI SI RIUNISCE IL G20 MA LA CRISI LA RISOLVERANNO L’EUROPA E L’AMERICA Libero 15 novembre

Tra molti miti (e qualche realtà), si riunisce questa sera (ora italiana) il G20, ossia i Capi di Stato e di Governo dei 20 Paesi che si ritieni “pesino” di più nell’economia mondiale. Il primo mito è che il G20 abbia poteri quasi taumaturgici e che sia in grado, se non di curare con una bacchetta magica i problemi della finanza e dell’economia internazionale, quanto meno di avviare il processo che porti ad una soluzione. Il secondo mito è che ampliando il consesso del G7 ai maggiori Paesi emergenti (Cina, India, Brasile, Russia e via discorrendo) la diagnosi sarà più accurata e la terapia più efficace (in quanto più e meglio condivisa). Il terzo mito è che, quale che sia la diagnosi, la medicina deve includere nuove regole e – ascoltate! – “una serie di collegi di supervisori” a livello internazionale come invocato dalla Federazione delle Banche Europee in un accorato appello inviato il 10 novembre.
Se questi miti non vengono smontati sarà davvero difficile individuare le aree in cui il G20 (o qualche altro G) potrà coniugare efficienza con efficacia ed evitare non solo la prosecuzione dell’esplosione della bolla ma anche quella che si profila come una lunga (pur se non necessariamente molto profonda) recessione internazionale. In primo luogo, il G20 non solo non ha virtù magiche (né di diagnosi né di terapia) ma solo un gruppo, o gruppetto o ancora gruppaccio, di malcapitati che si trovano a gestire disfunzione del processo d’internazionalizzazione che molti economisti seri avevano previsto (pur se non ne avevano azzeccato tempi e dimensioni). Lo analizzano accuratamente Gary Gordon della Università di Yale nel saggio “The Sub-Prime Panic” (Yale ICF Working Paper N. 08-25) e Joshua D.Coval e Erik Stafford (ambedue dell’Harvard Business School) con Jakub W.Jurek (Università di Princeton) in “The Economics of Structured Finance” (Harvard Business School Finance Working Paper n. 09 -060). In gran misura – come “Libero Mercato” ha documentato l’8 novembre – la crisi non nasce nelle politiche pubbliche ma in comportamenti privati sui quali i politici e le politiche possono ben poco incidere. A riguardo, non ha fondamento empirico l’ipotesi, diffusa in questi giorni in Italia, secondo cui alcune modifiche dell’imposizione tributaria sulle plusvalenze edilizie attuate dall’Amministrazione Clinton (ed accentuate nel 2004) sarebbero alla base della “bolla immobiliare” Usa. Uno studio della Banca federale di riserva di St. Louis (Bank of St, Louis Working Paper N. 20008-036A) esamina gli standard per i mutui edilizi a clienti di scarsa affidabilità praticati dal sistema d’intermediazione finanziaria Usa dal 1998 al 2007 e conclude che “contrariamente alla credenza popolare non c’è alcune prova di un loro alleggerimento” (ossia non è diventato più lasco di quanto non fosse in passato). E’ verosimile, però, che le banche centrali (di norma presentate come austere e severe) hanno aggravato la situazione sostenendo (con un’eccessiva immissione di liquidità una crescita che pensavano inarrestabile). Paul De Grawe (uno dei padri dell’unione monetaria) rafforza la tesi di Giovanni Magnifico (vedi “Libero Mercato” dell’8 novembre): gli “spiriti animali della politica monetaria” (CESifo Working Paper n. 2418) che danno luogo “ad onde alterne di pessimismo e d’ottimismo” e non tengono adeguatamente conto delle implicazioni micro-economiche della politica della moneta.
In secondo luogo, i nuovi soci del sinedrio che dovrebbe tentare di governare l’economia mondiale hanno interessi contrapposti sia nel loro interno sia con il G7. Lo si è visto a tutto tondo nel negoziato multilaterale sugli scambi, il defunto Doha Development Agenda dove i nuovi soci del G20 sono quasi venuti alle mani tra di loro. E’ bene dare loro un diritto di tribuna ma non aspettiamoci molto in termini di diagnosi o di terapia. Un nodo è chiaro a tutti: il tasso di cambio tra Cina e Usa. E’ ugualmente noto (lo si è visto su “Libero Mercato” del primo novembre) che la burocrazia celeste del continente cinese non ha alcuna intenzione di fare qualcosa a riguardo e che non saranno gli altri soci del G20 a convincerla. Ragionamenti analoghi si possono fare per Russia, Brasile, India e compagnia cantando. Mai come oggi, la diplomazia del dollaro e dell’euro è l’unico medico possibile per individuare e curare i guai della finanza e dell’economia mondiale. La crisi è nata all’interno di quella che un tempo veniva chiamata la comunità economica atlantica ed è all’interno di tale comunità che può e deve essere risolta. Alcune indicazioni sono state fornite da “Libero Mercato” dell’8 novembre.
In terzo luogo, con grande rispetto per il lavoro macro-economico del Fondo monetario (Fmi), è illusorio pensare che un potenziamento dello Fmi oppure “una serie di collegi di supervisori” a livello internazionale possono contribuire a risolvere problemi che non hanno diagnosticato tempestivamente sia nel recente passato sia nel 1987 (crisi debitoria dell’America Latina) sia nel 1996 (crisi debitoria asiatica).
Cosa può profilare una parteneshic economica atlantica (Usa-Ue, diplomazia del dollaro e dell’euro) oltre ai due punti indicati su “Libero Mercato” dell’8 novembre (in sintesi, un avvicinamento delle normative interne di regolazione e vigilanza finanziaria negli Usa e nell’Ue, un allentamento del patto di crescita e stabilità)? Un impegno di lungo periodo nel sostenere quelle che Katharina Pistor della School of Law della Columbia University (una giurista, quindi, non un’economista) chiama “la rete la “rete informale della finanza per tutelarsi a vicenda in tempi d’incertezza” "Global Network Finance: Organizational Hedging in Times of Uncertainty", diramato on linea in questi giorni Columbia Law and Economics Working Paper No. 339 è un lavoro che, mi auguro, gli sherpas abbiano letto e meditato (almeno quelli di Use e Ue). Traccia in modo eloquente gli elementi che già stanno emergendo di un nuovo sistema di “governance” della finanza internazionale ; tale sistema include banche, assicurazioni, fondi sovrani . “Nonostante tali organizzazioni abbiano regole, esperienze e prassi molto differenti stanno trasportando elementi di un regime da un sistema all’altro e ri-combinandoli dando vita ad un nuovo sistema basato su ”. Agevolare la formazione di tale Global Finance Network (Gfn) è una strada più promettente di quella di fare crescere nuove burocrazie o di rafforzare quelle esistenti. Lo implica anche il più recente Paolo Baffi Research Center Paper n. 2008-52 in cui si modellizzano gli effetti economici della regolazione e supervisione bancaria.

Nessun commento: