sabato 8 novembre 2008

IL NUOVO CORSO DI OBAMA? IL RISCHIO E' UN RITORNO AL PROTEZIONISMO, Libero 8 novembre

I Capi di Stato e di Governo dell’Ue, ed ancora di più i Ministri economici economici e finanziari (specialmente quelli dell’area dell’euro; vedi Libero Mercato del 4 novembre), dovranno iniziare il processo verso il riassetto dell’ordine economico internazionale con il G20 convocato dal Presidente degli Stati Uniti George W. Bush ma proseguirlo con il nuovo Capo dello Stato e di Governo Usa Barack H. Obama , che assumerà le proprie funzioni il 20 gennaio prossimo venturo ed i cui programma di politica economica internazionale, quali enunciati nella “piattaforma presentata alla elezioni” (quale appare sul suo sito web e nei suoi scritti) sono, ad essere cortesi, disorientanti.
Riguardano principalmente la politica economica interna, ma mai come adesso, soprattutto per gli Usa, la strategia interna ha implicazioni molte vaste su strategia e tattica internazionale. Lo dice a chiare lettere “la storia non raccontata della finanza internazionale del mondo dopo l’11 settembre” nel saggio autobiografico di John B. Taylor (Sottosegretario al Tesoro dal 2001 al 2005) “Global Financial Warriors” (Norton & Co. 2007). Ove non si avesse il tempo o la voglia di leggere il lavoro di Taylor, sono sufficienti due indicatori a) un deficit dei conti con l’estero di 700 miliardi di dollari l’anno ed uno stock di debito estero pari a oltre 2,5 trilioni di dollari; b) un debito pubblico interno di oltre 10 trilioni di dollari, detenuto per circa il 45% da stranieri, per lo più banche centrali (come quelle della Cina e del Giappone). I disavanzi “gemelli” e gli “stock di debito”, pure loro “gemelli”, sono strettamente interconnessi.
Il loro punto centrale del programma che ha portato all’elezione di Obama è dare una copertura assicurativa sanitaria ai 40 milioni di americani che ne sono privi. Nell’ultimo fascicolo del “Journal of Economic Literature”, Jonathan Gruber passa in rassegna circa 200 saggi su questo tema: se le misure specifiche, peraltro mai annunciate, non sono coniugate con strumenti per ridurre l’escalation dei costi nella sanità, ci sarà un forte aumento del disavanzo di bilancio e di stock del debito pubblico. Robert E. Rubin, ex-Segretario al Tesoro dell’Amministrazione Clinton (quindi al di fuori di ogni sospetto di partigianeria), ha indicato che ciò vorrà dire tassi d’interesse a lungo termine alti e crescita bassa – già per il 2009 i 20 maggiori istituti internazionali di ricerca econometrica annunciano per il pil Usa una crescita appena dello 0,5%. Gli squilibri internazionali saranno aggravati, non alleviati.
In materia di politica economica estera, il programma elettorale d’Obama si ispira al protezionismo più duro. Ciò corrisponde ad una linea di condotta decennale del Partito Democratico Usa, interrotta unicamente da John f. Kennedy – fece un tentativo pure Bill Clinton ma i risultati furono controproducenti. In aggiunta, l’elenco dei finanziatori della campagna elettorale di Obama mostra concessioni alle lobby più disparate e più contraddittorie il cui unico nesso è la difesa del “made in Usa”. Ciò poco si concilia con il conclamato “multilateralismo” in politica estera, apparso peraltro unicamente nelle ultime settimane della campagna elettorale. L’Istituto Max Plank (distinto e distante dalle beghe americane) sta pubblicando un commentario giuridico alla normativa internazionale prodotta dall’Organizzazione mondiale del commercio (Omc)e dall’Accordo generale sulle tariffe e sugli scambi (Gatt) che la ha preceduta. E’ interessante sfogliare in parallelo il commentario del Max Plank ed il programma di Obama: un vero e proprio scontro tra due concezioni giustapposte di vedere il commercio internazionale. Verosimilmente, assisteremo al ritorno di un’America tendenzialmente isolazionista. L’Omc (già alle soglie del fallimento della propria prima importante prova- la Doha development agenda) avrà tempi bui. In aggiunta, all’insegna del “benign neglect”, gli Usa di Obama saranno pronti a fare scivolare ulteriormente il tasso di cambio del dollaro. Non saranno, soprattutto, in grado d’offrire leadership nel riassetto dell’economia e della finanza internazionale. Infatti, quale che siano le forme ed i modi della “nuova” Bretton Woods, essa non può non basarsi che su una premessa analoga a quella del consesso che la precedette e dal complesso di norme che hanno favorito la crescita mondiale nella seconda metà del Novecento: la massima liberalizzazione degli scambi, compatibilmente con una regolazione efficace dei movimenti di capitali (nel 1944-80, la regolazione mirava alla graduale apertura, ora dovrebbe mirare alla trasparenza).

Cosa può fare l’Ue, ed in particolare l’area dell’euro? Su Libero Mercato del 4 novembre, utilizzando il metodo delle “opzioni reali”, ho tracciato la strategia di un’”opzione call di espansione” – ossia un programma minimo comune che venga meglio specificato man mano che si chiariscono le posizioni degli altri partner del G20. Oggi non solo tale “opzione call di espansione” ha maggiore forza ma se ne possono cominciare a delineare i contenuti. Trova maggiore forza perché; al di fuori di una partnership economica atlantica – a cui il Presidente-eletto, Obama, pare poco interessato ma che potrebbe attirare la Casa Bianca se sceglie i collaboratori adatti . l’America rischia una deriva protezionistica, che potrebbe anche diventare isolazionistica, ed in ogni caso comporterebbe una frammentazione degli scambi (ed il proliferare d’accordi bilaterali) con costi elevati per tutti. Questa volta è l’Europa più aperta al mondo ed alla cultura internazionale che deve tendere una mano a quella parte degli Usa anch’essa aperta al mondo ed alla cultura internazionale.

L’Europa – si dirà- è piena di vincoli: non solo quelli del “patto di stabilità” ma soprattutto i lacci ed i laccioli di migliaia di corporativismi interni, la grettezza delle proprie lobby, i particolarismi ed i campanilismi accentuati. Un libro di Giovanni Magnifico (uno dei protagonisti della costruzione monetaria europea sin dagli Anni 60) in uscita presso la Luiss University Press (“L’Euro:squilibri finanziari e spiragli di soluzione”), pur se scritto prima della prospettiva di un cambiamento d’inquilino alla Casa Bianca, delinea ciò in gergo si chiama “una blueprint”, ossia un programma dettagliato europeo per definire la piattaforma comune alla base della “opzione call d’espansione”. Ciò richiede scavare in quelli che Magnifico chiama “spiragli di soluzione”. In primo luogo, metabolizzare che le cause “dell’instabilità (l’attuale crisi finanziaria –n.d.r) non sono solo nel settore pubblico” ma hanno “radici profonde anche nel settore privato”. “Per potere contare sulla capacità autocorrettiva del mercato occorrono regole chiare ed efficaci”: quelle del nuovo accordo di Basilea, devono essere rafforzate “per quanto riguarda sia i requisiti patrimoniali sia i controlli prudenziali sia il loro ambito d’applicazione sia l’obbligo d’informazione trasparente”. Su questi , ed altri punti, il lavoro di Magnifico, risultato di 40 anni non solo di studi ma anche di negoziati internazionali, fornisce indicazioni specifiche che potrebbero essere i capisaldi di una piattaforma dell’area della moneta unica nei confronti dell’Amministrazione americana per dare vita a quella diplomazia dell’euro e del dollaro che sola può fare sperare in quella che in gergo ormai viene chiamata la nuova Bretton Woods.
C’è un aspetto importante che potrà toccare più di una corda nella Casa Bianca abitata da Obama: un tema del libro, ripreso con forza nelle conclusioni, è che “la capacità di autoregolazione degli intermediari creditizi negli Usa ed anche in Europa è soccombente di fronte a shock monetari”. Ciò però non richiede una regolazione pesante – Magnifico è di profonda cultura liberale e, come tale , è stato in ombra in Italia (i suoi libri principali sono stati pubblicati da McMillan negli Usa ed in Gran Bretagna) quando spirava un vento tutt’altro che liberale –, ma una regolazione efficace. Ancora più importante, ciò richiede una politica monetaria che sappia guardare ai propri effetti micro-economici (oltre che a quelli macro-economici) più di quanto la Fed , ed in parte pure la Bce, hanno fatto negli anni in cui gradualmente si preparavano gli artigli dell’attuale crisi. In breve, una lettura obbligata per gli sherpas dei policy maker dell’area dell’euro. Ed utile per il corteo di barracuda-esperti che ad essi si accoda.

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