sabato 22 novembre 2008

ARIE NUOVE E VECCHIE DISPUTE RISCALDANO IL CLIMA DA PRIMA ALLA SCALA L'Occidentale 23 novembre

Un teatro lirico è come una compagnia aerea – chi scrive è stato, per un periodo, Vice Presidente di un teatro piccolo d’opera e lo sa. Professionalità molto differenti devono cooperare armonicamente e strettamente per il bene comune: mettere in scena uno spettacolo di qualità e che piaccia al pubblico. Quando nel 2004 portammo il piccolo teatro di cui ero Vice Presidente in Giappone (18 repliche di “Traviata” in meno di un mese cambiando città quasi ogni giorno e dovendo, quindi, fare una prova generale ogni mezzogiorno nel teatro dove si andava in scena alle 18 in punto), i non addetti ai lavori furono sorpresi dalla disciplina di tutti, principalmente dell’orchestra (ragazzi e ragazze appena usciti dai conservatori, oltre la metà dei quali non aveva mai intrapreso un viaggio in aereo) e del coro (in gran misura dilettanti). Se non fossero stati tutti rigorosamente disciplinati e coordinati, lo spettacolo (grande successo esaltato da tutta la stampa nipponica) sarebbe stato un disastro.
I “gruppuscoli” lo sanno; quindi, tirano fuori la grinta per richieste particolaristiche nella convinzione di potere tenere in scacco management, artisti ospiti, colleghi e maestranze tutte. Ciò spiega il proliferare di sigle sindacali, con un abile gioco di sponda possono bloccare il teatro una alla volta. Negli Anni 80 e 90 al Teatro dell’Opera di Roma ce ne erano ben 15 ed il burattinaio pare fosse lo stesso Segretario Generale del teatro. Alla Scala ce ne sono una dozzina. L’anno scorso, varie sigle si coalizzarono e, minacciando di fare saltare la tradizionale inaugurazione della stagione a Sant’Ambrogio, indussero Prodi e Rutelli a calarsi le brache e modificare, per decreto legge, la normativa sulla contrattazione integrativa, mettendo in agitazione l’intero settore (tutti, ovviamente, vollero un contratto modellato su quello della Scala). Ciò diede il colpo finale al San Carlo di Napoli, all’Arena di Verona ed al Carlo Felice di Genova – tutti e tre commissariati, sorte verso cui si sta avviando il Comunale di Bologna e rischiano di ritrovarsi i Teatri del Maggio Musicale Fiorentino. Adesso, la minaccia viene da una piccola sigla (la Fials) che minaccia uno sciopero per un anno e denunce per comportamento anti-sindacale nei confronti del management se firma con le altre sigle e il 7 dicembre va in scena. In nuce, si ripete nella sala del Piermarini quanto avviene ogni giorno, da settimane, all’aeroporto di Fiumicino. Il 75% degli italiani sono stanchi e stufi di questo andazzo.
Ciò avviene mentre complessivamente le 13 fondazioni liriche (6000 dipendenti fissi) hanno accumulato dal 1996 (“Legge Veltroni” , una normativa così scombinata che dimostra la pochezza culturale di chi la ha redatta) 300 milioni dei debiti , tre sono all’olio santo (Roma si salva in quanto guidata da un ragioniere che si è meritato il titolo di Commendatore), un’altra sta per chiedere l’ambulanza ed il costo medio di produzione di una serata supera del 30% la media dell’Ue a 15 (quasi il 50% di quella dell’Ue a 27).
Stéphane Lissner, Sovrintendente e Direttore Artistico della Scala - da dieci anni abbiamo una buona frequentazione (specialmente l’estate a Aix-en-Provence) - ha tre alternative:

1. Prendere esempio da ciò che fece Rudolf Bing quando era general manager del Metropolitan Opera House a New York. Chiudere il teatro (e non pagare nessuno) sino a quando le varie sigle si saranno messe d’accordo. E’ di cultura socialista ed un astuto manager: già a Aix superava (nel 2003) nodi di questa natura proponendo il referendum tra i lavoratori – ovviamente se vinceva “andare in scena”, chi non si presentava era sanzionato e finiva o licenziato o in tribunale (per risarcimento danni resi al teatro) oppure sia licenziato sia in tribunale.
2. Andare in scena con un “Don Carlo” ridotto, come avviene spesso in teatri britannici, indicando nominativamente i responsabili ed iniziando vertenze giudiziarie nei confronti di ciascuno.
3. Aprire il 7 dicembre il Piermarini alla città, con le scene (più o meno) montate di “Don Carlo” e rappresentare l’opera in versione di concerto con l’accompagnamento a pianoforte.
L’alternativa che preferisco è la prima. Non considero neanche il suggerimento dell’editoriale del 22 novembre di un quotidiano milanese – “abolire Sant’Ambrogio alla Scala”. Sarebbe una capitolazione incondizionata alla Fials. Ed ai particolarismi. Con conseguenze disastrose in molti settori (non solamente la lirica).

Nessun commento: