mercoledì 27 agosto 2008

IL SISTEMA DI PREVIDENZA PUBBLICO NON VA BUTTATO, VA FATTO FUNZIONARE,L'Occidentale 27 agosto

Piaccia o non piaccia, il “dossier” della previdenza pubblica sarà all’attenzione del Governo e delle parti sociali alla ripresa settembrina. I temi sul tappeto sono numerosi (non necessariamente la revisione dell’età minima per le pensioni di anzianità come suggerito da alcuni organi di stampa per fornire la consueta dose di terrorismo ferragostano): a) i tempi ed i modi della revisione dei “coefficienti di trasformazione” ((i parametri in base ai quali il montante dei contributi versati o comunque computati viene “trasformato” in trattamenti previdenziali annuali), b) i metodi per l’indicizzazione specialmente per le pensioni più basse e per quelle dei più anziani, c) la tenuta complessiva del sistema a fronte di un’economia la cui crescita è inferiore al previsto, d) il rinnovo degli organi di gestione dei principali istituti di previdenza.
Una serie di analisi recenti del servizio studi della Banca d’Italia (diramate on line agli abbonati proprio nelle settimane attorno al Ferragosto) confermano che l’alto tasso di risparmio delle famiglie, la composizione dei relativi impieghi (ad esempio, il peso dell’immobiliare nello stock di ricchezza) e le decisioni relativi ai trasferimenti intergenerazionali (in parole povere, quanto e cosa lasciare in eredità ai figli) sono aspetti importanti della formazione di capitale che in Italia assumono caratteristiche differenti (di quelle di altri Paesi) a ragione, in parte, dell’incertezza in materia di politica previdenziale. L’alto numero di riforme della previdenza (almeno cinque dal 1993) inducono individui, famiglie ed imprese a tenere che nuovi riassetti siano dietro l’angolo. Quindi, bene ha fatto il Ministro del Lavoro, della Previdenza, della Salute e della Solidarietà Sociale Maurizio Sacconi ha smentire in modo chiaro e netto il terrorismo mediatico ferragostano. Ciò nonostante, in settembre ci sarà un’agenda previdenziale molto densa che potrà portare (una volte concluse le v verifiche indicate) ad una serie di ritocchi al sistema che si sta mettendo in atto dalla metà degli Anni 90.
Un tema di cui poco si parla ma che dovrebbe essere messo sul tappeto sono i rendimenti dei versamenti degli italiani (lavoratori e datori di lavoro) per la previdenza pubblica. Vengono spesso dibattuti, anche sulla stampa d’informazione, i rendimenti della previdenza privata (i fondi pensione) : il loro livello generalmente basso viene considerato tra le determinanti che tengono molti italiani lontani dai fondi.
Può sembrare pleonastico parlare dei rendimenti dei versamenti per la previdenza pubblica in un meccanismo a ripartizione in cui i lavoratori attivi di oggi finanziano, con i loro contributi, i trattamenti di chi è in pensione. Tuttavia è un argomento che occorre sviscerare (specialmente alla vigilia dei rinnovi dei CdA dei maggiori istituti di previdenza) non solo perché gli organi di governo degli istituti non lo hanno sollevato con sufficiente risalto in passato ma per due ragioni:
· da un lato, se gli investimenti degli istituti di previdenza (le “riserve tecniche” che per decenni hanno vincolato gli istituti a investimenti immobiliari) rendessero più e meglio (di quanto non rendano oggi) sarebbe meno pesante il trasferimento che dalla casse generali dell’erario deve essere fatto ogni anno a quelle degli istituti;
· da un altro, il sistema contributivo che si sta introducendo dal 1995 potrebbe essere visto come il tassello essenziale vero pensioni “fully funded” (ossia che si finanziano da sole).
E’ tema negli ultimi anni al centro delle politiche previdenziali di Paesi come il Canada, l’Irlanda, la Nuova Zelanda e la Norvegia il cui sistema è rimasto quasi totalmente pubblico (ed a ripartizione). A metà agosto, la Banca mondiale ha pubblicato un interessante rassegna (World Bank Policy Resarch Working Paper n. 4499) curata di Dmitri Vittas, Gregorio Impavido e Ronan O’ Condor. Il lavoro è mirato ad individuare come si può “upgrade” (migliorare) le politiche d’investimento della previdenza pubblica proprio partendo dall’esame di Paesi dove si è cercato di svecchiare le polverose tecniche di gestione, introducendo, al tempo stesso, guarentigie per evitare che i fondi previdenziali pubbliche divengano preda di pressioni particolaristiche (vi ricordate gli scandali relativi agli immobili degli istituti?).
Un aspetto interessante è come i fondi previdenziali pubblici in questione si avvalgano dei bassi costi di gestione (caratteristici della previdenza pubblica) ed abbiano gradualmente cambiato strategie d’investimento- da puramente passive ad attive.
Il pubblico non va buttato via con l’acqua sporca. Ma va fatto funzionare e rendere al meglio.

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