mercoledì 6 agosto 2008

ECCO PERCHE’ IL TEATRO IN MUSICA NON PUO’ ESSERE BASATO SULLA “DISFATTA DELLE DONNE” Il Foglio 6 agosto

Ascoltare e vedere nel nuovo Grande Teatro di Torre del Lago, le due opere con cui è stato inaugurato il 54simo Festival Pucciniano (un nuovo allestimento di “Turandot”- regia di Maurizio Scaparro, scene di Ezio Frigerio, costumi di Franca Squarciapino, direzione musicale di Alberto Veronesi; una ripresa di “Tosca” (regia di Mario Corradi, scene e costumi di Igor Mitoraj, direzione musicale di Yoel Levi) induce a riflettere su quanti anni luce sono passati da un certo tipo di femminismo. Nel 1979 le edizioni Bernard Gasset, pubblicavano il libro di Catherine Clément (allieva di Claude Lévi Strauss, antropologa, saggista e romanziera) su “L’Opéra au la Défaite des Femmes” (L’Opera ovvero la Disfatta delle Donne). Il teorema è che il teatro in musica è maschilista: non può non essere basato che “sulla disfatta delle donne” (ancora più esplicita la traduzione inglese “Opera: the Undoing of Women). Catherine Clément tenta di documentare l’ipotesi con un’analisi dei libretti (non delle partiture) in cui il “dramma in musica di Puccini” con le “fragili eroine” (a cui già fecero riferimento commentatori perbenisti-borghesi dell’inizio del Novecento) veniva lette come emblemi di un “secondo sesso”, debole e, quindi, costretto a cedere alle pretese dei maschi. Catherine Clément, classe 1939 e beniamina del femminismo “d’antan”, ha ripreso questa congettura in romanzi di successo quali “La Favorita dell’Harem” e nel suo ultimo lavoro di rilievo “Il Sacro ed il Femminile (una prospettiva europea)” del 2001 dove non solo l’opera ma anche la Chiesa è maschilista e porta alla “disfatta delle donne”.
Viste ed ascoltate in riva al lago Massaciuccoli, dove è stato costruito un teatro di circa 3400 posti, “Turandot” ed ancor di più “Tosca” paiono trattare della sconfitta non del genere femminile quanto di quello maschile. In “Turandot”, la regia di Scaparro è in equilibrio tra colossal e intimismo, la direzione musicale d’Alberto Veronesi si distacca dalla tradizione e mette in risalto i nessi tra la partitura pucciniana e “La Donna Senz’Ombra” di Richard Strauss (lavoro in cui i due protagonisti maschili sono bamboccioni in mano a tre donne senza paura, e senza scrupoli; altro che fragili eroine!!). E’ un bel bamboccione rodondotto Francesco Hong (il tenore “spinto” coreano che da un paio d’anni furoreggia sui nostri palcoscenici). Le due donne della sua vita, la sanguinaria principessa (Francesca Patané, alla “prima” non nella migliore forma) e la coraggiosa Liù di Donata D’Annunzio Lombardi, ne fanno (almeno emotivamente) carne per hamburger.
Veniamo a “Tosca”. Discutibile e discusso l’allestimento dello scultore Igor Mitoraj che situa la vicenda (14 giugno 1800, giorno della battaglia di Marengo, elemento essenziale per comprendere il libretto) in una Roma astratta. Qualche appunto anche alla regia, che non segue le magistrali indicazioni di scena (specialmente per la fine del secondo atto) date dal compositore e dai librettisti (Giuseppe Giocosa e Luigi Illica, due dei maggiori autori di teatro degli anni a cavallo tra la fine dell’Ottocento e la fine del Novecento). Tuttavia, la “Tosca” cesellata da Daniela Dessì è una vera e propria forza della natura sotto il profilo sia scenico sia vocale. Fa di tutto per salvare il “suo Mario”, dissangua a coltellate quel capo della polizia (Scarpia) di fronte a cui “tremava tutta Roma”, quando comprende di essere stata ingannata si lancia nel Tevere dagli spalti di Castel Sant’Angelo affermando che la sfida con Scarpia proseguirà anche nell’Oltretomba. Dalla mezza voce (vocalità molto ardua) di “Vissi d’arte” passa con agilità agli acuti della scena in cui uccide Scarpia mentre questi tenta di violentarla.
Le altre protagoniste delle opere pucciniane non rappresentano certo “la disfatta delle donne. “Manon Lescaut” ne fa di cotte e di crude (rubando gioielli e argenteria tra un amante e l’altro). “Madama Butterfly” fa, stoicamente, hara-hiri. . Giorgetta (de “Il Tabarro”) fa sesso con l’amante quasi di fronte al proprio marito. “Suor Angelica” non ha paura di andare all’inferno suicidandosi. Minnie de “La fanciulla del West” bara a poker: la posta è il suo uomo Dick (ed evitare di andare a letto con lo sceriffo Jack). Quando tutti si accorgono che a ragione della cattiveria del Fato e della malignità umana, Dick fa la professione del ladro di cavalli e dell’oro scavato a dura fatica dai minitori e decidono, perciò, di impiccarlo sulla pubblica piazza, la ragazza salta sul proprio destriero e con la carabina spianato si riprende il giovanotto. Fragili? Lo saranno coloro che scrivono della “disfatta delle donne”.

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