sabato 30 agosto 2008

AL SUD PIU’ QUALITA’ SE C’E’ COMPETIZIONE. Libero 30 agosto

Giuseppe Di Vittorio, leader storico del sindacato e non certo “uomo di destra”, aveva uno stile spartano. La sera cenava, di solito piuttosto presto, in una pizzeria di Via Genova che aveva come insegna la marca di un vino a buon mercato dei Castelli Romani (“Est! Est! Est!”) ed accoglieva, al suo tavolo, giovani (come me, all’epoca) che frequentavano il Teatro Eliseo in quel di Via Nazionale ed andavano a prendere una pizza prima dello spettacolo. Di Vittorio amava ripetere una massima: “la tracotanza è figlia dell’ignoranza”. La avrebbe ripetuta oggi a fronte della polemica della sinistra di Capalbio e di Sabaudia sulle misure annunciate dal Ministro Mariastella Gelmini per rilanciare la scuola nel Sud? Probabilmente sì perché la polemica mostra come chi la ha suscitata ignori gli insegnamenti di base dei propri maestri (ce ne sono stati anche di “buoni” non solo di “cattivi”), nonché studi quantitativi recenti. Lo ha correttamente ricordato lo stesso Tullio De Mauro, linguista di rango ed ex-Ministro dell’Istruzione, con termini che dovrebbero fare vergognare tutti quelli che hanno sollevato la polemica.
Ad un semplice economista non è appropriato entrare in terreni in cui i sociologici ed i pedagogisti hanno una cassetta degli attrezzi più consona a comprendere perché ci sono tali e tante differenze d’apprendimento in diverse parti dell’Italia. I dati essenziali sono stati pubblicati ampliamente in questi giorni sui giornali: studi quantitativi, peraltro non recentissimi, dell’Ocse e della Banca d’Italia evidenziano come al Sud la dispersione scolastica (ossia i ragazzi che non completano il ciclo) è molto più elevata che al Centro-Nord e che i quindicenni del Sud “sanno” molto meno di quelli del Centro-Nord in matematica e scienze (le sole materie per cui è possibile un confronto internazionale). Inoltre, i ragazzi dei ceti ad alto reddito del Sud hanno un livello d’apprendimento minore di quelli a basso reddito del Centro-Nord- dato che suggerisce come il fenomeno sia destinato ad acuirsi. Il problema – inoltre – non si cura necessariamente aumentando le risorse finanziarie: in un articolo apparso su www.lavoce.info, un’analisi di Maria Flavia Ambrosiano e Massimo Bordigon (due economisti certamente non collaterali al centro-destra) dimostra che la spesa pubblica pro-capite per istruzione in Calabria è doppia rispetto al livello effettivo in Lombardia. Il “Quaderno Bianco sulla Scuola” – presentato, con una certa fanfara, da Romano Prodi nel settembre 2007, ma presto accantonato – aveva il divario tra Sud e Centro-Nord come tema fondante.
Cosa fare? Ci si può strappare i capelli e rotolarsi per terra, lamentando che non c’è modo di uscire da questo circolo vizioso. E’ un po’ ciò che fanno (econometricamente parlando) Luigi Guiso, Paola Sapienza e Luigi Zingales (non certo collaterali al Governo in carica) nel loro ultimo lavoro (CEPR Discussion Paper No. DP6657) in cui si riallacciano ad un beniamino del centro-sinistra, Robert Putman dell’Università di Harvard (il quale ha studiato a lungo le Regioni italiane) e in base di una strumentazione econometrica comparata, concludono che il Sud ha ormai trovato un equilibrio (ad un livello basso) e ci vorranno almeno 500 anni per colmare il differenziale, specialmente di conoscenze e di apprendimento.
Si possono proporre miglioramenti graduali e progressivi, come fa il Ministro imperniandoli sulla formazione degli insegnanti e sulla sperimentazione. Si possono suggerire alternative che possono sembrare radicali, come quella lanciata da Franco Debenetti (sulla base dell’esperienza svedese) della competizione tra scuole tramite un sistema di vouchers. E’ interessante notare come nell’ultimo numero di “Economic Affaire” Greg Forster pubblichi un saggio comparato (non limitato alla Svezia ma sull’esperienza dei vouchers negli Stati degli Usa) in cui conclude come i “vouchers” abbiano migliorato la qualità delle scuole e gli esiti scolastici degli studenti – lo avevo già detto, negli Anni 70, mâitre à penser della sinistra (come Jenks, Illich e Delors) , che probabilmente a Capalbio e Sabaudia non vengono letti, ma sui cui libri Di Vittorio avrebbe passato nottate.
In Italia l’argomento principale contro gli “school vouchers” è quello che potrebbero favorire le scuole private (anche e soprattutto nel Sud), la cui qualità sarebbe inferiore a quella delle scuole pubbliche , aggravando il problema ed aumentando i costi complessivi (poiché il pubblico ha obblighi specifici). Un’analisi di Giuseppe Bertola, Daniele Checchi e Veruska Oppendisano (per ora pubblicata dall’Istituto federale tedesco d’analisi dei problemi del lavoro – IZA Working Paper No 3222- è da augurarsi che venga diffusa anche in Italia) conferma, in base a tre rassegne empiriche, che gli esiti in istruzione superiore e nel mercato del lavoro sono migliori per coloro che hanno frequentato le scuole pubbliche (rispetto a coloro che hanno frequentato quelle private). E’, tuttavia, un’analisi statica: le scuole private verrebbero incoraggiate a migliorare da un meccanismo di “voucher” (altrimenti perderebbero allievi). Uno studio delle Università di Berkeley e della McMaster University (NBER Working Paper No. W14176) prova che in un’ottica dinamica è ciò che è successo dove in Nord America si sono introdotti i “voucher”: un miglioramento della qualità (in termini d’apprendimento) del 6-8%. Non abbastanza a colmare il gap tra Sud e Centro-Nord, ma in grado di ridurlo in misura significativa.
Nessuno di questi titoli recenti è stato echeggiato nelle polemiche degli ultimi giorni: segno che a Capalbio ed a Sabaudia si ignorano tanto quanto si ignorano i maestri del pensiero della sinistra in questi campi. Di Vittorio avrebbe detto che si tratta di ulteriore conferma di come la tracotanza vada a braccetto con l’ignoranza.
Mariastella, non ti curar di loro. Vai avanti!

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